UN BLOG
IN FORMA DI MAGAZINE
E VICEVERSA

Allonsanfàn
{{post_author}}

Intervista ad Arianna Prevedello. Spiegare l’amore con l’aiuto di Audrey

La domanda di una bambina alla madre crea uno stato di grazia, una sorta di benedizione – lo impariamo qui – e se rispondere è impervio, e potrebbe richiedere l’uso e lo spreco di parole frettolose, forse inutili o peggio confusive, l’adulto può scegliere il silenzio: è un’altra benedizione che crea uno stato di accoglimento.

Il delicato e colto libro di Arianna Prevedello L’amore spiegato a mia figlia con Audrey Hepburn (San Paolo) – è insieme saggio pedagogico e racconto autobiografico, ed è rivolto dalla scrittrice a tutti ma prima che agli altri, e ciò lo fa valere di più, a se stessa – nasce per e con una ragazzina: si apre con quesiti sulla morte, che ha toccato una famiglia felice manifestandosi all’improvviso, e si dirige con la cautela dell’intelligenza e della necessità di una crescita verso la nascita di un discorso d’amore.

L’amore che una madre “deve spiegare” a una figlia è, anch’esso, così difficile da tradurre in parole. Prevedello che lo ha narrato simbolicamente e praticamente allevando con la bambina una nidiata di coniglietti, usa un altro espediente per “entrare nell’universo femminile dell’affettività e della sensualità”. Il grande cinema del passato. Hollywood, che altro? Audrey Hepburn, per esempio.

Le citazioni – prima, un dipinto di Tiziano e una strofa di De Gregori, un libro della pedagoga Luigina Mortari o i versi di Livia Chandra Candiani – diventano filmiche. Prevedello, va detto, è esperta di cinema, esperta militante: è stata vice presidente di ACEC (Associazione Cattolica Esercenti Cinema) di cui è responsabile per l’ambito pastorale e per la formazione. Farle queste domande è stato automatico.

A fini educativi, a suo avviso, conta che un film sia (mettiamo) di Billy Wilder, sia cioè un’opera d’arte o serve al bisogno pure una recita di burattini?

Io non mi alzo dal letto con il piede dell’educazione rispetto a mia figlia. La famiglia è un luogo diverso dalla scuola e vive anche di situazioni meno strutturate, meno incardinate. A volte la visione di un film si improvvisa e se un genitore ha delle carte da giocarsi quello è un buon momento, ma non compare nessun cartello che dice “questo è un momento educativo”. Tutto è educazione quando un figlio ti è accanto, meglio nemmeno pensarla questa cosa altrimenti ci viene l’ansia di prestazione. Per questo, per tantissime pagine mi dedico nel mio libro al tema dell’autoformazione dell’adulto.

Ma la bellezza…

Serve, a mio parere, che una cosa sia bella nel senso che ci porta dentro a una ricerca sulla verità. Non mi pare che questa ricerca di luce si concluda in qualche momento della nostra vita. Forse quando ci inghiottono le tenebre della morte. Chissà lì che cosa succede… Anche un bambino a suo modo partecipa a questa ricerca di luce sulla vita e le sue questioni, se gli adulti che ha attorno hanno la gentilezza di coinvolgerlo in esperienze a mio parere anche artistiche. L’arte, e in essa anche il cinema, è un continuo arrovellarsi sull’indole delle cose, sui meccanismi della mente, sui meandri dell’anima. A forza di vedere è mia figlia stessa che riconosce che alcune opere hanno una forza più dirompente di altre, una loro robustezza di forma. È importante educare il palato e poi lui si arrangia nel tempo e gusta perfino qualcosa di più povero ma che ha valore proprio dentro a questa altalena di altezze. Serve Billy Wilder, ma serve anche la tigre di Ligabue che ha avuto ben pochi attimi educativi nella sua vita di fanciullo eppure oggi ci mettiamo in coda per vedere le sue opere. C’è, dunque, salvezza al di là di esperienza educativa più o meno riuscita. A noi adulti compete salvare il bello dalla banalità in cui viene tirato in ballo. I bambini possono essere ottimi collaboratori in tal senso.

“L’arte, e in essa anche il cinema, è un continuo arrovellarsi sull’indole delle cose, sui meccanismi della mente, sui meandri dell’anima”

Una ode a Audrey: era davvero così… così come? Riguardo al “femminile”, intendo. È vero che la sua antitesi è Marilyn? Io ho lavorato in mensili di moda dove Audrey è paradossalmente la diva incontrastata, quasi il super io per stilisti e modelle.

Senza dubbio un’ode ad Audrey, anche se il mio motto è “Audrey e colleghe”. Abituare una figlia alla diversità femminile mi sembra davvero un obbligo. Non c’è un unico modo, migliore di altri, di essere donna. Nemmeno quello che ha incarnato Audrey, icona senza dubbio tra le più imperiture. Quando senti Valeria Bruni Tedeschi, altra femminilità ancora, citare Madre Teresa di Calcutta, capisci che c’è posto per tutte e proprio questo spazio largo è la grande sorellanza che ci consentirà di portare a casa, mai per sempre, tante nuove consapevolezze, comprensioni e anche diritti per il mondo femminile. Audrey per mia figlia è ancora un’icona del cinema, non l’ha ancora conosciuta rispetto alla sua biografia più privata. Per quello che possiamo sapere dai tanti libri e documentari, con il dovuto zelo di prendere alcune ricostruzioni sempre con grande prudenza, è stata una donna davvero in cammino, fedele non a se stessa (che a mio parere vuol dire poco vista la nostra tensione alla ricerca e al cambiamento) ma fedele all’evoluzione che ogni esistenza porta con sé. In ambito affettivo, genitoriale, professionale e sociale Audrey ha continuato a crescere proprio dentro a quella cura di sé che un adulto è chiamato ad avere. C’è un bellissimo film in questo periodo sugli schermi – si intitola Un altro giro, conosciuto grazie anche agli Oscar e al loro clamore – che mostra quattro amici-colleghi che hanno smesso di “crescere” e che cosa succede a ciascuno di loro quando decidono di provarci. È un argomento molto fertile. Vedere uno di questi uomini piangere più volte nel film dentro a questo processo vitale è davvero una carezza per le tante donne citate nel mio libro che ci hanno abituato a fare i conti con le nostre fragilità. Katharine Hepburn, ad esempio, è un’altra donna che vale la pena conoscere bene e non solo sullo schermo. Puntiamo alla diversificazione femminile? Per me sì.

Un Anna Karenina storico

Non ha visto film per kidults o per adolescenti con sua figlia? Le piacciono oppure trova qualcosa di “forzato” nella categoria, per così dire, merceologica?

Potremmo dire, usando una battuta inflazionata ma di grande valore morale, che per ora francamente ce ne infischiamo.

I grandi o piccoli film a cui lei, da grande conoscitrice, deve qualcosa…

Di solito per il mio lavoro mi occupo più del cinema contemporaneo d’essai, in particolare quello europeo. Con mia figlia mi sono lasciata andare a una parentesi più classica e americana che ho messo poi in questa pubblicazione convinta che ci fosse spazio per questo libro, spero, divertente. Ci sono molti altri film americani che abbiamo visto e che, per evitare un tomo troppo esasperato, non ho citato nel libro ma che sono davvero straordinari. In questi giorni voglio proporle L’orgoglio degli Amberson di Orson Welles (1942). Insieme a mia figlia abbiamo visto anche film di Ken Loach o di Francesco Bruni. Il secondo è davvero un mio amico, il primo vorrei che lo fosse tanto lo stimo per la sua altezza morale. È normale, potremmo dire, presentare i propri amici ai nostri figli. Per tornare alla sua domanda: quando si vedono anche dieci film a settimana, se non di più, è difficile fare le distinzioni sulla riconoscenza che si deve a un’opera piuttosto che a un’altra anche se capisco che è una domanda sempre molto affascinante. Nel mio libro precedente, uscito ad aprile, Di fronte all’amore, cito uno di questi film a mio parere veramente viscerali, capaci di metterci a soqquadro ma con la giusta dose di catarsi. Si intitola La vita invisibile di Eurídice Gusmão. Consiglio agli adulti di andarselo a recuperare… Potente!

La vita invisibile di Eurídice Gusmão

Esiste un cinema “cattolico” italiano? Mi dica qualcosa che non sappiamo sulla Chiesa e il cinema. Io mi ricordo solo di Olmi e di Ultimo Tango e della censura ecclesiastica… Ma una volta ero di sinistra.

Potrei dire che me ne infischio anche del cinema cattolico? Sarebbe poco cortese da parte mia. Eppure se mi dicessero che sono una scrittrice cattolica o una saggista cattolica mi offenderei, perché sentirei che ho bisogno di questa etichetta per accedere allo scaffale. Le parole non hanno etichette. Ho intervistato più volte Ermanno Olmi. Quasi mi viene da piangere al ricordo che sento sulla pelle di questo grande uomo. Era molto di più di un cattolico. Come spero che molti scrittori, spesso etichettati anche loro, siano di più di un ebreo. La meravigliosa Lia Levi ha scritto Una bambina e basta sui pericoli di queste etichette. L’ho già somministrato a mia figlia come una tachipirina e anche lei ora dice “sono una bambina e basta”. Sicuramente è esistita, invece, la censura cattolica e le posso dire che il 99 per cento delle sale della comunità (quelli che abbiamo chiamato per un secolo i cinema parrocchiali) non solo si è lasciata alle spalle questa triste pratica ma soprattutto ora rappresenta reali presidi di analisi cinematografica, di palinsesti tra i più agguerriti, e veri hub di animatori culturali tra i più preparati e di grande capacità inclusiva. Per loro mi sveglio volentieri al mattino ed è un onore lavorare a questa officina culturale. Sul rapporto tra Chiesa Cattolica e Cinema, a tratti in passato davvero spinoso, val la pena seguire il lavoro e le pubblicazioni del prof. Tomaso Subini.

“Nel mio libro precedente, Di fronte all’amore, cito uno di questi film a mio parere veramente viscerali, capaci di metterci a soqquadro ma con la giusta dose di catarsi. Si intitola La vita invisibile di Eurídice Gusmão”

Hepburn con gli uomini di Sabrina

Il suo libro mi è parso un incantevole e sorprendente Ufo – cosi sembra a me, almeno. Come si situa negli altri del suo percorso (che leggerò al più presto)?

Gli Ufo fanno paura ma sono anche quell’alterità che il cinema ha usato tante volte per metterci a disagio e smuoverci dalle nostre, diremmo oggi, comfort zone. Quindi grazie di questo complimento, molto singolare. Il libro si situa dentro a una doppietta, l’altro l’ho citato qui sopra, del 2021 tutta dedicata al tema dell’affettività e scritta tutta in pandemia in situazioni di grande complessità logistica e fatica emotiva come accaduto a gran parte del mondo. Ora che li vedo stampati penso che sono il mio voto per sopravvivere a questo tempo. Nella storia sono nati, come riconoscenza per essere sopravvissuti a una pandemia, architetture straordinarie che oggi continuiamo a visitare magari non sapendo questa loro origine. Anch’io lascio un umile contributo che non avrà la stessa fortuna, ma che tutti siamo chiamati a produrre nel nostro ambito per come possiamo. La scrittrice Flannery O’Connor, un’altra etichettata, nel suo Diario spirituale chiedeva a Dio di riuscire a fare qualcosa di più del normale con il suo lavoro di scrittura. Se questo libro è un Ufo, Flannery sarebbe felice. In ogni caso il tema dell’affettività era presente, seppur da altre prospettive, anche nei miei due libri precedenti. Chissà che pagina volterò prossimamente.

Arianna Prevedello

IL LIBRO Arianna Prevedello, L’amore spiegato a mia figlia con Audrey Hepburn (San Paolo). Della stessa autrice: Di fronte all’amore (In Dialogo), e per San Paolo La grazia di rialzarsi e Il corredo invisibile

I social: