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Auschwitz non finisce mai

Auschwitz non finisce mai. Auschwitz è sempre imminente. Perché il male esiste nella storia e tende a ripresentarsi. Perché non esiste un male soprannaturale: l’orrore nasce da una precisa volontà e da decisioni concrete, che conducono gli uomini a sterminare altri uomini per interesse, pregiudizio o accecamento ideologico.

Gabriele Nissim, fondatore e presidente della fondazione Gariwo nata per riconoscere i Giusti che si sono opposti a ogni genocidio, lo ha detto chiaro, presentando al Teatro Parenti di Milano il suo ultimo libro Auschwitz non finisce mai. La memoria della Shoah e i nuovi genocidi (Rizzoli).

Un libro scritto prima dello scoppio della guerra in Ucraina – è uscito in libreria in occasione della Giornata europea dei Giusti che si celebra il 6 marzo – ma che aiuta (anche) a capire le ragioni del conflitto che ha travolto tutti noi.

AUschwitz non finisce mai Nissim Rizzoli

Il ricordo della Shoah è uno degli elementi sui quali abbiamo costruito la nostra identità culturale a partire dalla seconda metà del secolo scorso. La memoria di quell’orrore ha permesso di affrontare a viso aperto la battaglia contro l’antisemitismo. Alcuni ritengono che se venisse meno quella memoria si aprirebbe un nuovo spazio per la circolazione di idee mai del tutto sconfitte. «Eppure» ha detto Gabriele Nissim «quel salvagente cui aggrapparsi per combattere il riaffiorare delle ideologie più barbare del Novecento può diventare una pericolosa scorciatoia. Invece di affrontare direttamente i pregiudizi contemporanei si usa lo scandalo del passato, che alla fine mette tutti d’accordo ma senza toccare le aporie del presente».

Ecco allora che «il discorso per certi versi sacro sull’unicità della Shoah, espressione di un male assoluto che ha colpito soltanto gli ebrei in tutta la storia dell’umanità» rischia di alimentare una percezione sbagliata: una gerarchia dell’orrore che sembra sminuire o relativizzare le tragedie toccate a molti altri popoli nel corso della storia. «Non si tratta di uniformare le memorie, perché ogni popolo che ha subìto un genocidio giustamente mette sul piatto la sua storia. La memoria della Shoah non deve creare una divisione tra noi ebrei e gli altri esseri umani che hanno subito o subiscono genocidi. Avrei scritto questo libro con lo stesso metodo se fossi nato armeno, o cambogiano, o ruandese, o fossi un sopravvissuto ai gulag. Perché la dimensione della battaglia per la memoria è uguale all’interno di tutti i popoli vittime di atrocità di massa. Il problema è riuscire a compiere il passaggio dalla rivendicazione della propria sofferenza, della propria storia, per arrivare a una visione universale».

Ciò che accomuna il genocidio degli ebrei ai genocidi degli armeni e dei ruandesi e dei cambogiani… «è l’intenzionalità di annientare un gruppo usando ogni forma di violenza e brutalità per disumanizzare gli individui destinati allo sterminio. Quello che è avvenuto nella Shoah è stato il limite del male, ma, come ha sostenuto Primo Levi, si potrebbe ripetere in altre circostanze, perché nella natura umana c’è anche questo istinto sadico, sebbene non lo vogliamo vedere».

Auschwitz non finisce mai è un libro vasto e importante che ci guida a indagare il meccanismo che porta alle atrocità di massa. Nissim si rifà agli scritti di Primo Levi, Simone Veil, Hannah Arendt, Yehuda Bauer e dell’avvocato ebreo polacco Rafael Lemkin che, dopo la guerra, fu l’artefice della Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio, approvata nel 1948 alle Nazioni Unite.

Fu Lemkin a coniare il termine genocidio, insieme del termine greco “genos” (stirpe) e di quello latino “cidio” (uccidere).

Lemkin, che ebbe tutta la sua famiglia sterminata, riteneva che la memoria della Shoah dovesse unire il mondo intero in un nuovo comandamento morale: non commetter più alcun genocidio.

Così Gabriele Nissim, che sostiene che la memoria della Shoah debba trasformarsi in una lente di ingrandimento attraverso la quale riconoscere l’orrore ovunque esso si manifesti. «I genocidi sono una scelta degli uomini. E per questo gli uomini possono impedirli. Ma non basta denunciare il male, dobbiamo operare affinché la prevenzione dei genocidi diventi il nostro imperativo morale. Non commettere un genocidio deve diventare, come immaginava Lemkin, il nuovo comandamento morale dell’umanità». Un comandamento che  ispiri l’azione dei singoli Stati come degli organismi sovranazionali: mai più, a nessuno.

Il libro. Gabriele Nissim Auschwitz non finisce mai. La memoria della Shoah e i nuovi genocidi (Rizzoli)

credit foto in apertura: “Konzentrationslager Auschwitz- version 2.0” by Yam Amir is marked with CC BY-NC-ND 2.0 

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