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Allonsanfàn
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No alla guerra. La scelta di Emergency (e di tanti altri)

Sono quelli che hanno fatto una scelta. La scelta di dire no alla guerra in Ucraina e a tutte le altre che si combattono nel mondo. Sono quelli che lo dicono, di essere contro. Cosa non da poco, in tempi in cui chi sostiene la pace non è davvero popolare, anzi è popolare al contrario.

Emergency, l’associazione fondata da Gino Strada, ha portato su un palco (a Reggio Emilia, durante il suo festival) quattro nomi importanti che hanno spiegato le ragioni di questa scelta. Partendo dal fatto, indiscutibile, che c’è un popolo, quello ucraino, che è stato attaccato. E c’è un esercito, quello russo di Putin, che ha invaso l’Ucraina.

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 La scelta di Edith Bruck. Non ci sono guerre giuste.

«Non ci sono guerre giuste. La guerra chiama la guerra, l’odio chiama l’odio. Ero una bambina quando venni deportata ad Auschwitz. Ho visto così tante atrocità… Inorridita da quello che l’uomo è capace di fare. Un’esperienza del genere fa sì che si ripudi la guerra, qualsiasi guerra, ovunque si faccia». La storia però sembra non avere insegnato nulla. «Non abbiamo imparato niente e oggi è una sofferenza terribile vedere che si ricomincia da capo. L’uomo contro l’uomo. In Europa abbiamo dimenticato tutto e tutto può succedere. A noi spetta fare, parlare, agire, gridare, denunciare quello che non va, mettendoci nei panni degli altri, prendendoci addosso i problemi degli altri».

Edith Bruck Emergency
Edith Bruck in collegamento con il Festival di Emergency

Edith Bruck, 91 anni, di origine ungherese, famiglia ebrea, ha vissuto l’Olocausto. Nel 1944, poco più che bambina è stata deportata ad Auschwitz, Dachau, Bergen-Belsen. Sopravvissuta, ora vive in Italia.

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La scelta di Marco Tarquinio. Il sogno di una grande Tienanmen collettiva.

Ha firmato un editoriale che iniziava così: Dicono che per fare finire la guerra bisogna fare più guerra. Ma noi che vogliamo pace e che vogliamo una tregua immediata come lo fermiamo Putin? «Dopo 6 mesi è chiaro che Putin non lo si ferma continuando a riempire di distruzione, dolore, morte, armi un altro pezzo di mondo. L’Ucraina è il 169° Paese segnato da una delle guerre che si stanno combattendo in questo momento. Nella quale stanno morendo – come sempre – i figli dei poveri, che Putin ha sbattuto al fronte nell’operazione militare speciale che chiama così perché in una guerra anche i figli dei ricchi e della classe media sarebbero richiamati. Come lo si ferma? In Russia c’è chi si oppone alla guerra e lo fa in modo non violento, tenace, coraggioso, schivando le sanzioni del regime. Dobbiamo dargli forza e cittadinanza mediatica. Che l’Occidente ha finora negato a differenza di quanto ha fatto in passato nei confronti di altri – come il Sudafrica dell’apartheid  – che resistevano a regimi forti. Avrei voluto vedere una grande Tienanmen collettiva in questo tempo che stiamo vivendo in Europa, vedere milioni di persone capaci di mettersi senza armi davanti ai carri armati. Si può fare. Penso che il tempo sia maturo. Allora l’aggredito va lasciato inerme, gli chiedono. «No. Ma non c’è una guerra che abbia costruito più libertà, più giustizia, più unità, più felicità per i popoli che l’hanno subita. Sono giornalista da 40 anni, ho visto gente cacciata dalle proprie case, donne violentate nel corpo e nella dignità, bambini convertiti a forza in un’altra religione. Ho visto tragedie, diaspore. La guerra è un mostro. La guerra pesta forte sulla vita. Dalla parte degli inermi si sta abbracciando il bullo, l’energumeno. Costringendolo a ragionare. E se non vuole sentire bisogna insistere, ricordando quello che anche a me dicevano da bambino: tra due litiganti che si picchiano ha ragione chi smette di picchiare per primo».

Marco Tarquinio Emergency
Marco Tarquinio. Credit foto: Andrea Simeone

Marco Tarquinio, giornalista, è direttore di Avvenire.

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La scelta di Donatella Di Cesare. La guerra è la nostra grande sconfitta

«Quali parole trovare per l’assurdo che monta ogni giorno? “Se vuoi la pace prepara la guerra” è un luogo comune profondamente sbagliato perché è la pace che ci costituisce, perché senza l’altro noi non possiamo esistere. Dopo ciò che l’Europa ha vissuto nel Novecento, dopo la Shoah, chi avrebbe immaginato un’altra guerra in Europa? Da mesi stiamo accettando l’idea che i conflitti possano e debbano essere risolti con la violenza. Questa è la grande sconfitta.

Non solo da filosofa ma da cittadina non posso non interrogarmi sulle responsabilità politiche, etiche. Pagano i più poveri, pagano i più deboli, da una parte e dall’altra, e questo vale anche per noi europei. Quando si parla di crisi energetica, di possibili razionamenti, lo si fa come se fossero una calamità come la pandemia. No, non è così. Sono un effetto di questa guerra. L’Europa si è consegnata alla catastrofe. L’ho detto dall’inizio, e non importa che mi diano della putiniana: la Russia fa parte dell’Europa, la cultura russa fa parte di quella europea, non riesco a vedere i russi come nemici. Ho amici dissidenti, Putin si ferma aiutandoli, Putin si ferma democraticamente, e non con la guerra. La pace non viene da sé, la pace è lo sforzo di non odiare il nemico. No, non mi sono sentita isolata quando sono stata attaccata per le mie posizioni. Ho sempre avuto la percezione che molte persone pensino quello che penso io. In Italia c’è un’opinione pubblica molto contraria a questa guerra, ma non riesce ad avere voce, non riesce a essere rappresentata. Penso però che si farà sentire, via via che l’assurdità di questa catastrofe europea diventerà sempre più evidente».

Donatella Di Cesare Emergency
Donatella Di Cesare. Credit foto: Andrea Simeone

Donatella Di Cesare è filosofa, saggista e docente di filosofia teoretica all’università La Sapienza di Roma.

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 La scelta di Mauro Biani. Sono i comportamenti di tutti i giorni che cambiano le cose.

«Si parla poco di chi rifiuta le armi, dei dissidenti russi e anche di quelli ucraini, che ci sono e hanno idee molto chiare. Ho visto momenti di difficoltà profonda per l’informazione, la pubblicazione di “liste”, la parola pace scomparsa dai giornali, dalla tv, dal dibattito pubblico.

Si vendono armi, si preparano le guerre nel mondo e nel momento in cui scoppiano si accusano i pacifisti e i non violenti: voi cosa dite di fare? Sono i comportamenti di tutti i giorni che cambiano le cose, comportamenti individuali e politici.

Lo scorso 24 marzo Papa Francesco ha detto: “Mi sono vergognato quando ho letto che un gruppo di Stati si sono compromessi a spendere il 2 per cento del Pil nell’acquisto di armi come risposta a quanto sta succedendo adesso… la pazzia”. Ecco, vorrei dei politici così. L’attenzione alla vita degli altri è importante. Il mettersi nei panni degli altri lo è, e questo Papa è uno dei pochissimi leader mondiali che lo fa.

Mauro Biani Emergency
Mauro Biani

Mauro Biani è un vignettista e illustratore. Pubblica su La Repubblica.

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“Il 7 ottobre 2001 è stato il giorno in cui ho capito di non essere un pacifista, ma di essere semplicemente contro la guerra. Non so perché sia successo proprio in quel giorno. Forse solo perché prima o poi arriva il momento di dire basta. Dopo anni passati tra i conflitti mi sono scoperto saturo di atrocità, del rumore degli spari e delle bombe. E lì, in Afghanistan, dove avevo vissuto per tanti anni operando feriti, non ce l’ho fatta più a sopportare l’idea di una nuova guerra. Così alla vigilia di un’altra ondata di sofferenza e di morte ho detto il mio “no”: basta con la guerra, basta uccidere mutilare infliggere atroci sofferenze ad altri esseri umani”.

Così ha scritto Gino Strada nel libro Una persona alla volta (Feltrinelli). Emergency è stata l’unica Ong occidentale a testimoniare l’inizio dei bombardamenti statunitensi su Kabul, capitale afghana, il 7 ottobre 2001.

 

L’intero incontro “Ripudiare la guerra: questione di scelte” si può vedere cliccando qui.   

Credit foto in apertura: Vincenzi Metodo

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