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Harlan Coben, maestro dell’hook-and-twist

Harlan Coben, in qualità di vincitore del Raymond Chandler Award, partecipa a un appuntamento milanese del Noir in Festival, il 6 dicembre alle 18 alla Libreria Rizzoli 

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Sono sempre stato attratto da quei mattoncini tascabili che si trovano negli aeroporti in treppiedi che cigolano sempre un po’ quando li giri: sopra, sulla cover, questi romanzi angloamericani, tra mille strilli o barker, presentano quasi fosse marchiata a fuoco la scritta N°1 bestseller sul New York Times e qualche frase che loda sperticatamente l’autore. Quasi che non si possa dubitare che siano best seller scritti da gente di genio. Deaver e Connelly, Patterson e Grisham, Dan Brown e Follett, ma pure King e via a scendere.

Tra romanzi di scrittori popolari che hanno la caratteristica – assicura il marketing – di essere dei page turner, quasi che le 400 pagine dei volumetti si girassero da sole, ho scovato una volta un’opera del master dell’hook-and-twist! Nientemeno (vedi nota 1). Un acchiappa-lettori-gonzi, che sorrideva placido e pelato dalla quarta di copertina. Nome e cognome: Harlan Coben (Newark, New Jersey, 1962). Sono stato subito catturato. È così nata la consuetudine di leggere in questi due decenni (in viaggio, in aereo o in treno) HC in originale – come i colleghi di mattoncino è abbastanza semplice da capire – anche perché come tutti i bestselleristi da NYT usa un numero limitato di parole e le costruzioni semplici di una scrittura che denota e non connota e non adopera subordinate.

Harlan Coben come spesso accade agli autori da mattoncino – ma c’è pure l’hard cover e (almeno esisteva, non viaggio da un secolo) un’edizione leggera da traveler, edita di solito un paio di mesi prima – HC, dicevo, ha attivi due forni.

Il più tradizionale dei due, che gli ha dato in patria una fama solida e gli ha procurato premi prestigiosi (Anthony, Edgar e Shamus), è quello del detective, ex giocatore di basket e procuratore sportivo Myron Bolitar (11 titoli tra il 1995 e il 2016), il quale ha generato pure uno spinoff per young adults dedicato al nipote Mickey Bolitar (tre titoli dal 2011 e il 2014). Qui Coben non mi dice molto.

Il secondo forno, quelle delle cosiddette Standalone Novels (a sé stanti), invece, offre romanzi con personaggi sempre diversi e con titoli secchi e allarmanti, spesso impositivi. Tell No One, Play Dead, Gone for Good, Just One Look, Don’t Let Go… Oppure semplici e icastici: The Woods, The Innocent, The Stranger, ecc. ecc. È qui che si manifesta secondo me l’arte cioè l’artigianato più apprezzabile del maestro dell’hook-and-twist. Venti titoli dal 1990 al 2021 (The Win è uscito a marzo).

Bene, per rimanere a The Standalone: Harlan Coben ha ricevuto traduzioni italiane (per Mondadori) limitate al periodo dal 2001 al 2013, senza – sembra – la convinzione di lanciare un prodotto specifico, invece del solito giallo made in Usa (oggi prova a rilanciarlo Longanesi, vedremo…).

Questo nonostante HC agli occhi del mondo abbia una caratteristica forte di nascita, una garanzia che di thriller e crime novel se ne intende: era compagno di college ad Ahmerst nonché primo lettore di un certo Dan Brown, cui agli esordi diede una bella pacca sulla spalla regalando al Codice Da Vinci recensioni e blurb – i due scrittori sono tuttora amici, senza tema di invidie, perché entrambi hanno venduto milioni di copie in tutto il mondo, Harlan ne dichiara ben 75, essendo stato tradotto tra l’altro in una quarantina di lingue – vedi nota 2.

Pure la traduzione dei titoli da Mondadori, rende la serie (perché di serie si tratta) delle Standalone Novels disomogenea. Esempio: Tell No One è sì Non dirlo a nessuno, ma Just One Look è un anonimo Identità al buio, così come The Innocent diventa in italiano (?) un piuttosto inopportuno Suburbia Killer.

Non riesco a ricostruire bene lo stato delle traduzioni italiane di HC perché ho letto quasi tutto in originale, abbandonando spesso (e be’, forse ho sbagliato) molti suoi libri su aerei e treni e negli alberghi. Probabilmente ho pure reso un favore all’amico Harlan – tale lo considero visto che mai se la tira e il lungo tempo in cui mi ha fatto compagnia – avrà catturato così altri fans, cioè chiunque abbia preso in mano e buttato un occhio distratto al mattoncino senza padrone (hook!). Comunque. Intendo far notare che questi romanzi hanno una tipologia (originale e sofisticata) che li imparenta. Prendiamo tre storie.

The Stranger – da cui tra l’altro nel 2020 è nata una serie britannica non particolarmente brillante per Netflix (pur avendo tra gli sceneggiatori HC e la figlia Charlotte). La trama: Adam Price è un bell’avvocato, sposo felice e padre di due bambini, la cui vita ha un twist quando incontra una stronza sconosciuta, che gli spiffera un segreto sul conto della moglie. La quale, donna volitiva e all’apparenza perfetta, gli avrebbe finto per motivi misteriosi una terza gravidanza, poi conclusa con un (fittizio) aborto spontaneo… e gli altri due figli, be’, che dia un occhio al Dna. L’uomo sorride da ebete ma un attimo dopo l’affidabile consorte gli sparisce per di più alienando un gruzzolo di soldi che amministrava per la comunità… Morale: la vita dell’avvocato Price salta per aria e gli ci vorrà del bello e del buono per ripristinare la verità (compresa la sua identità personale e sociale infranta).

La stronza di The Stranger nel serial

Passiamo a Svaniti nel nulla. Will Klein, buon ragazzo del New Jersey, ama con tutto il cuore Julie, vicina di casa. Ma una maledetta sera d’estate Julie viene brutalmente uccisa. Chi è stato? Primo twist: i sospetti convergono su Ken, fratello di Will, che diviene uccel di bosco. La famiglia Klein, unica a credere nell’innocenza del ragazzo, si arciconvince che Ken è morto. Secondo twist: undici anni dopo, nella camera della madre appena deceduta, Will trova una foto recente del fratello che, così pare, sta benone. Nel mentre che Sheila, la sua nuova fidanzata, sparisce… Morale: la vita del bravo ragazzo Klein salta per aria e gli ci vorrà del bello e del buono per ripristinare la verità (compresa la sua identità personale e sociale infranta).

Leggiamo ora The Woods, divenuto nel 2020 una miniserie per Netflix, prodotta e ambientata in Polonia – HC ha stretto un accordo con la piattaforma che prevede di esportare in terre straniere le sue trame. The Woods, in italiano anonimamente Estate di morte, è tra parentesi un titolo tipicamente cobeniano, essendo the woods (anche se est europei) il miglior posto dove un adolescente può perdersi metaforicamente e non – c’è un the woods da rito tossico e/o orgiastico pure in The Stranger di cui sopra. Comunque. Venti anni fa a un campo estivo, la sorella di Paul Copeland è vittima di un serial killer. Il corpo? E chi lo trova. Ora Paul fa l’avvocato in New Jersey, immerso fino al collo in un caso che gli porta (twist!) una novità da brivido la quale emerge dal passato. La sorella infatti… Morale: la vita dell’avvocato Copeland salta per aria e gli ci vorrà del bello e del buono per ripristinare la verità (compresa la sua identità di uomo messa a durissima prova).

Potremmo proseguire così per tutti i titoli della Seconda Filiera di HC notando che lo scrittore parte sempre da una situazione a prima vista idilliaca oppure rappezzata dopo un trauma, ovvero un incidente o uno sbaglio antico – il passato, rieccolo!, è sempre un pericoloso “paese straniero” per HC. Appena ci siamo accomodati nel testo – lo scrittore è un padrone di casa simpatico e spiritoso, acuto d’osservazione e di larghe idee progressiste – fa accadere qualcosa di assolutamente incredibile/insensato/pazzesco nel senso che può lasciar persino credere ai suoi personaggi di aver perduto la ragione. Questo twist innesca un tour de force di altri colpi di scena, un giro in ottovolante durante il quale con pazienza un po’ perfida HC porterà il suo antieroe (anti perché tirato per caso, per predestinazione o per destino nella vicenda) all’inferno e ritorno provvedendo infine a far luce, in un botto di fuochi d’artificio, su ogni elemento oscuro.

Il nuovo Coben

Spiega HC, riguardo l’ambientazione delle sue Standalone Novels in un’intervista al Guardian del 2015: “I like to set my novels in places that are seemingly placid, places that are the fruition of the American dream– house, 2.4 kids, two-car garage – and show how fragile that is”. Questa fragilità in un certo senso storica e sociologica del sogno americano, HC la mostra nei suoi romanzi con un pizzico di ironia – sorridendoci sopra – e con un certo gusto per la beffa da lui stesso organizzata.

Il finale delle Standalone Novels – importante specificarlo – è però sempre tranquillizzante e verrebbe da dire “iper borghese”. E chissà mai che questo non c’entri con il fatto che HC stesso ha una vita familiare piuttosto simile a quella dei suoi antieroi: una casetta nel New Jersey, una moglie premurosa che lavora duro (è pediatra), quattro figli, due cani, e lui che quando c’era troppo casino per via dei bambini piccoli andava a scrivere se non in uno Starbucks nel vicino coffee shop.

Spesso – va detto – Coben non è all’altezza del dubbio o disvelamento iniziale che incendia il suo thriller. Nel senso che è troppo macchinoso e prodigo di stranezze e improbabili coincidenze nello svelare ciò che a prima vista sembra assolutamente inspiegabile, ma il cimento che si allestisce da sé di romanzo in romanzo – di solito comincia a scrivere in gennaio e il libro esce a novembre/dicembre – è davvero duro ed è un’impresa far quadrare tutto al The End.

Per questo lo seguo sempre volentieri sapendo bene – e credo lo sappia anche lui – che al di là di un’irridente punta di anarchia, la quale si manifesta sporadicamente, il suo è il lavoro di un grandissimo artigiano, un fare e disfare che rimane però fatalmente in superficie. I personaggi sono troppo preda dei cliché, gli spaventi che arrivano dal passato non sono psicoanaliticamente il ritorno del rimosso, ma al più uno spettacolare rigurgito. Eppure HC è un ottimo costruttore di “domestic thriller” – come sono stati definiti – in sé alla fine coerenti e ben funzionanti.

Resta il rammarico per lo scarso credito datogli in Italia e, in genere, da cinema e tv. Non c’è stato per lui un Robert Altman come per John Grisham o un Sean Penn o un Martin Scorsese come per Dennis Lehane, anche se da Non dirlo a nessuno (Tell No One, 2001) è stato tratto un fortunato film francese diretto da Guillaume Canet, il miglior prodotto cine-cobeniano finora.

La popolarità transalpina di HC è stata ribadita comunque dalla serie tratta nel 2015 da Non hai scelta (No Second Chance), e lo stesso è accaduto nel 2017 a Identità al buio (Just One Look). HC è forte di un’alleanza con Netflix: oltre a quelle già citate, sono disponibili in streaming altre serie efficaci anche se non sontuose visivamente, come The Five (2016) – una produzione britannica questa volta non ispirata a un romanzo, ma scritta da HC stesso – Safe (2018) e proprio in questi giorni Stay Close (2021).

Per concludere: ci sono allora tre modi per entrare in contatto con l’american way of life “da paura” di HC. Di libri da leggere e film/tv da guardare abbiamo parlato. Il terzo modo è la partecipazione diretta: infatti Harlan Coben fino a poco tempo fa vendeva sul suo sito i nomi dei personaggi secondari (da inserire nei romanzi) ai lettori che si impegnavano in donazioni di beneficienza. Stiamo attenti se lo rifa.

Nota 1. Ho chiesto a Google: Hook – something that hooks you into a story, makes it impossible to stop reading. Twist – an unexpected plot turn, the twist in the tale.

Nota 2. “Dan and I actually went to college together…Amherst College….and he actually read my stuff before I read his, this is going back some time. So his editor sent me a copy of Da Vinci Code in manuscript form, well before anyone had heard about Da Vinci Code – His previous books are now doing really well, but when they were first published they didn’t do as well because perhaps they didn’t get the publishing support or whatever, and so I read the manuscript and thought it was a wonderful read, and I was happy to pass a review and blurb it. I don’t think the success of Da Vinci Code’ is a negative thing, I think that it is a great thing in the publishing world when anything surprising happens and any work that has people buying books is no bad thing so I have no problem with the success of Da Vinci Code

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