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L’aquila, il pollo e la consapevolezza che ci fa arrivare vivi alla morte

Il teologo Vito Mancuso si rivolge al pubblico di Torino Spiritualità che affolla la sala del cinema Massimo del capoluogo piemontese. L’incontro, sold out come tutti gli incontri della rassegna – dato non scontato (o forse sì) tenuto conto che il tema dell’edizione 2023 era quello della morte – ha come focus Istruzioni per arrivare vivi alla morte. Prima di iniziare a spiegare qualcosa che non è semplice come pare, Mancuso chiede a noi che lo ascoltiamo se esista un modo di rapportarci con chi è assente (perché se ne è andato per sempre).

Interrogativo non da poco. A cui lui risponde con chiarezza e un certo ottimismo. «Ci sono persone che abbiamo accanto ma che non ci dicono niente, sono solo presenza fisica ma non emotiva, spirituale, nutritiva. E ci sono persone che sono assenti senza le quali non potremmo vivere e che ci nutrono con i sorrisi, le carezze, gli abbracci che abbiamo da loro ricevuto». Persone che sì, sono morte «ma ancora sono con noi. E lo saranno per sempre».

E poi via, con le istruzioni. Perché non è detto che alla morte si arrivi vivi. Anzi. «Alla morte si arriva morti quando si è vissuto come esseri umani ma non da esseri umani» dice Mancuso. E per farsi meglio capire racconta la storia dell’aquila e del pollo. «Un uomo trovò un uovo d’aquila e lo mise nel nido di una chioccia. L’uovo si schiuse insieme agli altri e l’aquilotto crebbe con i pulcini trascorrendo tutta la vita come un pollo, pensando di essere tale. Cercava vermi, scuoteva le ali… Passarono gli anni e un giorno la vecchia aquila che si credeva pollo vide nel cielo uno splendido uccello che planava maestoso e chiese stupita: chi è quello? È l’aquila, il re degli uccelli, rispose il vicino. Appartiene al cielo, noi invece apparteniamo alla terra perché siamo polli».

La storia è tratta dal libro Messaggio per un’aquila che si crede un pollo scritto dal gesuita indiano Anthony de Mello (morto nel 1987), pubblicato in America nel 1990 con il titolo Awereness (consapevolezza) e nel 1995 in Italia proprio grazie a Mancuso, che ne curò la traduzione per Piemme. «Il grande successo del libro inquietò il Vaticano» ricorda oggi il teologo «che il 24 giugno 1998, con una nota della Congregazione per la Dottrina della fede firmata da Joseph Ratzinger, dichiarò le idee di de Mello incompatibili con la fede cattolica e tali da causare gravi danni. A mio avviso si tratta di un giudizio fondato nel primo caso, ma falso nel secondo, perché il libro non causa danni ma al contrario risana ferite; e lo può fare proprio perché è incompatibile con alcune affermazioni (errate) della dogmatica cattolica».

Mancuso libro de Mello Torino Spiritualità 23

Il libro ha come sottotitolo la lezione spirituale della consapevolezza «che è la chiave indispensabile per arrivare vivi alla morte. Praticare la consapevolezza significa lavorare sulla propria interiorità operando coltivazione di sé, concentrazione, attenzione, vigilanza, raccoglimento, silenzio, riflessione, meditazione. Un insieme di pratiche che possiamo definire esercizi spirituali o anche momenti di raccoglimento. È una necessità, come mangiare, bere, socializzare».

Che poi la sostanza è questa: si arriva morti alla morte quando si vive in modo difforme rispetto alla propria natura (l’aquila che non sa di essere tale e vive come un pollo). E si arriva vivi se si vive in modo conforme alla propria natura (il pollo che vive come un pollo).

La storia narrata da de Mello vuole insegnarci che noi esseri umani siamo aquile. «E se lo siamo, è perché siamo consapevoli. Chi coltiva la consapevolezza tramite il lavoro spirituale abbandona ogni paura della morte e vive con serenità. Comprende la vera natura della vita e vive con più autenticità ogni minuto, consapevole della preziosità del tempo che non tornerà più e dedicandosi ad attività che danno la vera gioia profonda, e non l’effimera felicità del momento. Coltiva la consapevolezza della morte non come paura o addirittura odio della vita, ma come amore veritiero della vita».

Mancuso conclude ricorrendo di nuovo a de Mello. «Il modo per vivere realmente, diceva il gesuita, è morire. Il passaporto per la vita è immaginarsi nella tomba. Immaginatevi di giacere nella bara. Ora, osservate i vostri problemi da quel punto di vista. Cambia tutto, non è vero? Che bella meditazione. Fatela ogni giorno, diventerete più vivi».

E davvero a questo bisognerebbe pensare più spesso (forse sempre). Come la coppia che ho incrociato uscendo dal cinema. «Hai capito, basta con questo crederti un pollo» stava dicendo lei a lui che stava brontolando sui mali del mondo.

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