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Recalcati, Amen e la morte che non può essere l’ultima parola sulla vita

«È stata una passione giovanile travolgente, da ragazzo avrei voluto scrivere di teatro. Poi gli studi di filosofia e la psicoanalisi mi hanno portato in un altro mondo. Così ho abbandonato il teatro come si abbandonano i grandi amori, con un taglio netto. Ma quando recentemente ci sono tornato è rinato l’amore». Massimo Recalcati, psicoanalista, accademico e saggista, apre così l’incontro organizzato al Teatro Franco Parenti di Milano per la presentazione di Amen (Einaudi), il suo primo testo teatrale che – dopo essere andato in scena – è diventato libro.

«È il punto di arrivo di un’avventura iniziata quando Recalcati mi ha fatto avere il suo copione teatrale» spiega Andrée Ruth Shammah, direttrice del Franco Parenti. «Appena l’ho letto ho pensato: il teatro darà luce a queste parole, affinché esistano su questo palcoscenico». Nasce così Amen che, prodotto dal Franco Parenti, ha debuttato al Festival di Spoleto l’8 luglio del 2021 con Marco Foschi, Federica Fracassi e Danilo Nigrelli e la regia di Valter Malosti.

Un’esistenza sul confine tra la vita e la morte, tra battesimo ed estrema unzione. La nuda fede di una madre verso il battito del cuore del figlio. Un vecchio soldato, sopravvissuto alla guerra, che insegna la forza del passo nella neve. Sullo sfondo i ricordi di una vita e la presenza incombente della fine. E una preghiera nel nome della vita che non vuole morire. Questo è Amen. «Il testo è stato messo in forma durante il primo lockdown» dice Recalcati. «E si sente. Io non riesco a scrivere niente se non qualcosa che tocca profondamente la mia carne, la mia anima, la mia vita. Non riesco a scrivere se non a partire da un’urgenza. E l’urgenza in quel tempo così difficile che abbiamo vissuto era quella della vita e della morte».

Se ci fosse luce sarebbe bellissimo, si legge nel libro. Parole, “le parole”, che Aldo Moro scrisse alla moglie poco prima di essere assassinato dalle Br. «Quando ho provato a dare una forma al testo, diverse frasi mi sono arrivate dall’inconscio, come da un’altra scena, e tra queste c’è quella di Moro. Amen è un testo della mia generazione, di chi nel ’77 si avvicinava ai 20 anni e di cui nel testo stesso ci sono tante tracce. La frase di Moro riguarda l’aldilà. Il dopo. Vorrei capire, con i miei piccoli occhi mortali, come ci si vedrà dopo. Se ci fosse luce, sarebbe bellissimo. Questa frase rimbomba in tutto il testo. Durante il lockdown noi vivevamo un tempo di buio, eravamo tutti caduti in una buca. Il tema di Amen è come, caduti in una buca, possiamo fare qualcosa dell’oscurità, possiamo trattare l’oscurità in modo generativo».

Amen Einaudi Recalcati

In Amen Recalcati ha compagni di viaggio: «Enne2 è il protagonista in cui io riporto diversi brani della mia vita, anche quella più intima. Enne2 è anche il protagonista di uno straordinario romanzo sulla Resistenza, Uomini e no di Elio Vittorini. Figura fondamentale nella mia formazione come pure Il sergente nella neve di Mario Rigoni Stern, e come Gesù. Da bambino e per molti anni ho avuto un’educazione e una formazione cattolica. Si è dissolta purtroppo, ma a lungo ho vissuto con la sensazione di avere – nei momenti di abbandono, sconforto, pericolo – le mani di Gesù sulla mia testa».

Cos’hanno in comune Enne2, il sergente nella neve, Gesù e Aldo Moro? «Sono figure della resistenza. Qualcosa che resiste alla tentazione del buio e della morte. Che si traduce in due suoni che Valter Malosti ha enfatizzato nella messa in scena di Amen. Il primo suono è quello del battito del cuore, la forza che ci fa vivere, da cui tutti dipendiamo, nostro e al tempo stesso estraneo perché nessuno di noi lo governa. L’altro suono è il passo nella neve tratto dalla grande narrazione di Rigoni Stern della ritirata degli alpini dalla Russia».

Massimo Recalcati è uno psicoanalista affermato. E la psicoanalisi incide sulla scrittura teatrale. «Non si può apprezzare l’opera di Pirandello se non si pensa alla grande rivoluzione psicoanalitica» dice. «Il fatto che l’Io è una maschera e che noi non siamo semplicemente quello che di noi appare, quello che noi crediamo di essere». C’è poi un altro elemento «che è più intimo. Lo psicoanalista ascolta le persone e le loro storie e in questo ascolto i pazienti riescono nel tempo a cogliere qual è il filo rosso, il mito, la leggenda che ha orientato la loro esistenza. Tutto questo serve a isolare una sorta di osso, qualcosa di duro, un nocciolo. Quello che Freud definiva “il nocciolo della verità”. In Amen ho portato la mia esperienza: il mio nocciolo ha a che fare con il battito del cuore e con una leggenda famigliare che mia madre mi ha raccontato fin da quando ero molto piccolo. Io sono nato settimino alla fine degli anni ’50, quando la neonatologia non era sviluppata come oggi. I prematuri rischiavano la morte, dunque ricevetti nello stesso tempo il battesimo e l’estrema unzione. Ero una vita che si inaugura ma che porta con sé già un destino mortale. Nel mio testo teatrale si percepisce l’angoscia di ogni madre di fronte all’infinitesimo intervallo tra un battito del cuore e l’altro. E di fronte al piccolo corpicino crocefisso dalle macchine della scienza, un coniglio scuoiato ma un coniglio che resiste, che sceglie di vivere». Dentro un’incubatrice, «una stanza di vetro luogo di distanza, di confinamento. Nel tempo del lockdown noi eravamo tutti in una camera di vetro ed è per questo che l’immagine dell’incubatrice in Amen è così potente».

E anche. Il sergente nella neve di Mario Rigoni Stern è per Recalcati «una sorta di talismano, a cui ricorrere nei momenti più bui. Una lettura che ha accompagnato la mia esistenza e si travasa nel testo di Amen. Perché in quella esperienza ritrovo l’essenziale del racconto leggendario che aveva definito la mia vita. Nell’incubatrice sono stato un piccolo sergente nella neve, ho fatto esperienza del freddo, della neve, del gelo, della distanza, dell’impossibilità del contatto, del rischio della morte».

Così per il Gesù della sua infanzia «testimonianza di chi era stato al buio nella fossa e che poi era ritornato alla luce. La morte non può essere l’ultima parola sulla vita, non tutto è morte, c’è un resto che resiste ostinatamente alla tentazione della morte. Ed è questo il segreto della bellissima parola Amen, antichissima. Che per un verso è la parola con cui noi ci congediamo dalla vita, “nell’ora della nostra morte amen”. Ma dall’altro è anche la parola della benedizione, come dire che tutto ciò che è stato, tutto ciò che abbiamo vissuto, continuerà per certi versi a vivere e a esistere».

Il libro. Massimo Recalcati Amen (Einaudi)

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