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Lodoli, Tanto poco. Neanche scrivere o impazzire è mai abbastanza

Tanto poco: è un ossimoro il titolo del nuovo romanzo di Marco Lodoli (1956), figura retorica che si rispecchia in diversi modi nel testo. È il personaggio più umile, una bidella di una scuola di Roma, “una scuola sul bordo del nulla”, quello che all’apparenza conosce l’amore più alto, pur non congiungendosi mai e neppure svelandosi mai a Matteo, giovane e velleitario professore di lettere.

È lei che si confida in prima persona in Tanto poco (Einaudi), il libro che abbiamo tra le mani, mentre appaiono sullo sfondo della storia gli altri romanzi, quelli del prof ragazzo di cui la bidella rimane presa fin dal primo giorno di scuola, fin dalla prima pagina, e a cui resta fedele in silenzio, servendolo, pensandolo e spiandolo, inseguendolo persino sui pericolosi terreni della visione e del delirio, per quarant’anni di vita e di non vita.

L’amore è “un infinito sogno solitario, un insulto all’infelicità, uno sputo in faccia al destino…”, ma solo se è così la sua fiamma arriva al cielo e non finisce a illuminare per un attimo e poi basta il caminetto di una casa fortunata avanti che il fuoco si spenga nell’abitudine. Solo l’invisibile donna, nascosta dietro le sue necessarie ma sottovalutate mansioni, sa che siamo tutti divisi, e diversi, ma che facciamo parte della stessa esistenza, cellule sane e malate di un medesimo corpo.

Tanto poco: è il premio che la bidella – ignorante eppure educata alla saggezza di una vita difficile e brutale, che conosce lo stupro e il buio di una passione che si svolge tangente alle tenebre – trova come bilancio al termine di un’esistenza? Oppure Tanto poco è ciò che a ognuno di noi offre la vita? È sua o nostra la mano su cui l’amica, cartomante improvvisata, non riesce a leggere niente? Poveri noi e povera Caterina – noi la conosciamo come Caterina, il nome sbagliato con cui le si rivolge un giorno il docente, sempre distratto da se stesso e dai suoi inconcludenti sogni di gloria.

Marco Lodoli sa spezzare la realtà con le apparizioni dark del fantastico e con gli scarti della poesia – prendendo magari in prestito una lirica di Beppe Salvia (un poeta da non dimenticare) o ritraducendo versi di Rimbaud o di Hoffmannstahl.

Marco Lodoli è votato, come il suo personaggio, a un’estrema sincerità che forse gli permette persino di giocare, raffigurando nella carriera di Matteo, uno schizzo caricaturale della sua – che il primo romanzo del prof eterno ragazzo poi distrutto a poco a poco dalla banalità dell’esistere sia Diario di un millennio che fugge (uscì per Theoria nel 1986)? E poi: il nano che appare forse in un barlume della follia di Caterina potrebbe arrivare da un nuovo Grande Circo Invalido (Einaudi 1993), quello che fu animato un tempo in una piazzetta paesana da uno storpio, un mutilato e un cane senza una zampa… Così, gli altri personaggi scombinati e sballottati da un’esistenza di miseria sono parenti stretti di quelli delle due trilogie di Lodoli, I principianti e I pretendenti. In queste pagine dello scrittore romano troviamo la grazia terribile dell’amore, della vita e della morte. Perché poi, come la sua protagonista, un giorno si scende dal treno e si cammina a fianco dei vagoni, che spariscono “come un segno di matita che esce dal foglio”. Neanche scrivere o impazzire è mai abbastanza.

Nella foto, un’opera di Paola Gandolfi (part.)

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