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Allonsanfàn
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Ricordando i Maigret con Cervi, prima di leggere un “nuovo” Simenon

Nell’ozio pandemico abbiamo provato a percorrere la distanza tra un antico sceneggiato di Maigret visto da ragazzino e un romanzo della Biblioteca Adelphi appena uscito, il Georges Simenon senza Maigret La fattoria del Coup-de-Vague.

La prima serie de Le inchieste del Commissario Maigret, in onda fra il dicembre 1964 e il febbraio 1965 per ragioni anagrafiche spopolò senza il nostro contributo. Alla quarta, nel 1972, eravamo invece in prima fila davanti al televisore, e ignari di un grosso problema: Gino Cervi (che sarebbe scomparso nel gennaio del 1974) aveva superato i settanta e ne aveva poco meno la signora Maigret, Andreina Pagnani.

Insomma poteva fare solo Maigret alle soglie della pensione o giù di lì. Difatti le inchieste si stopparono con quel ciclo allo sceneggiato numero 16 – 35 puntate totali per la regia di Mario Landi, nel cui sterminato curriculum, soltanto per rimanere al giallo, ci sono il tenente Ezechiele Sheridan e Dürrenmatt, Francis Durbridge e i soldatiani Racconti del Maresciallo.

Pure gli sceneggiati di Maigret, e non solo l’età dei suoi interpreti, ballavano un po’ nel tempo tra un’ambientazione pressapoco fedele ai prototipi di Georges Simenon – anni Trenta e Quaranta, la prima indagine, quella di Pietr-Le-Letton, è del 1931 – e una resa contemporanea adattata ai Sessanta.

Ma si può affermare: il tempo in certi gloriosi sceneggiati Rai, ancor più se scovati mezzo secolo dopo su YouTube, è un puro optional di un’atmosfera in bianco e nero stilisticamente definita, una cosa tipo quel brandy che creava un’atmosfera di Carosello, tanti interni come quinte, casalinghi e metafisici insieme, e pochi agognati (da noi piccoli) esterni visti di sfuggita.

Simenon con Arnoldo Mondadori

Maigret poi. È Cervi bonario e agée che accende la pipa, pensoso – rispondeva per noi all’identikit di un Commissario coi baffi, con il physique du rôle dell’Omino Bialetti per restare nello stesso campo semantico, e ci faceva sentire adulti seguirne le avventure pur non potendo confessare che da ragazzini apprezzavamo eroi ben più giovani e prestanti, Cervi sì, magari, ma all’epoca di Ettore Fieramosca – e poi, dicevamo, il buon vecchio Maigret bofonchia qualcosa alla Pagnani, prima di riattivarsi e sguinzagliare Lucas (Mario Maranzana) e Janvier (Daniele Tedeschi) sulle tracce dell’assassino della veuve Vattelapesca in una Francia di cartone. Umanità e carisma interconnessi. Raccontò Andrea Camilleri, allora produttore Rai, coinvolto con il drammaturgo e qui sceneggiatore Diego Fabbri nella scelta di Cervi: “… tante di queste cose che hanno fatto il personaggio esemplare, il caricare la pipa, la lentezza di alcuni gesti che danno l’idea di un sottopensiero profondissimo di Maigret, sono in realtà dovute al fatto che Cervi doveva leggere la battuta sul gobbo…”.

Torniamo al punto di partenza. Per chi ha un imprinting Cervi (tv)-Mondadori (libri) con la serie del Commissario infine affidata editorialmente e per ben due volte alle cover scheggiate di Ferenc Pintér (nota 1), è sempre stata una fatica riconoscere i Maigret “visivi” precedenti e successivi alla variante italiana – non tanto Jean Gabin, per carità, che debuttò nel 1958 con Il commissario Maigret di Jean Delannoy: intendo gli altri francesi, come Jean Richard, che fu Maigret dal 1967, quindi dopo Cervi, 88 volte in 24 anni, e Bruno Cremer: dal 1991, 54 episodi in 15 anni per lui, visto imprevedibilmente anche nei panni di Duca Lamberti! Mentre un ultimo Maigret di questi giorni è ancora impegnato sul set: l’ultrasettantenne (e dài) Gérard Depardieu.

Non c’è solo il fattore Maigret a condizionare i lettori dello scrittore di Liegi: abbiamo fatto fatica a conoscere e riconoscere l’altro Simenon, quello dei codiddetti romans durs (sono 117), inaugurati nel 1931 da La locanda d’Alsazia, che poi è lo stesso Simenon o il Simenon più significativo (?) ma forse no – certo, noi non c’eravamo mentre Mondadori in tre anni, dal 1932 al 1934, stampava la bellezza di 32 romanzi di Simenon, a mezzo tra Maigret e durs. A noi il belga apparve quasi nuovo, rilucidato, quando in Italia lo servì, su un piatto più chic dei suoi medesimi Maigret rilanciati, l’editore Adelphi.

In libreria

Il primo roman dur di Adelphi fu, se non sbagliamo, il settimo in ordine cronologico del belga, Le finestre di fronte, nel 1985 (era uscito da Gallimard nel 1932 e in Italia per la prima volta nel 1933) e fu seguito nel 1986 dal trentaduesimo, L’uomo che vedeva passare i treni (Gallimard 1938 e da noi nel 1952). E che fatica poi a ricostruire, tra uscite dalla cronologia misteriosamente incasinata, un percorso in questi romanzi popolari e sofisticati di Simenon, scrittore che soffrì costantemente sentendosi sottostimato forse perché inventore “soltanto” (per Alberto Savinio) di un poliziesco borghese in quanto incentrato su terrori e crimini modesti.

Credo che da un punto di vista editoriale pubblicare in una veste prestigiosa un qualsivoglia Simenon sia stato un investimento per la Maison Calasso, se era alla ricerca di un equilibrio soddisfacente tra alto e basso, alta letteratura e bassi istinti materiali. Un conveniente scambio: fornendo Adelphi blasone, ripuliva la fama di artigiano delle lettere di Simenon ricavandone indietro vendite cospiscue. Pure il reload di William Somerset Maugham rientra in una simile strategia editoriale – se non ci credete, chiedete a una centenaria prozia quanto poco era considerato zio Willy nelle lettere d’antan.

Infine e comunque: anche noi, cocciuti e ignoranti, ci siamo accorti che l’universo Maigret, apparso sotto le spoglie televisive di Gino Cervi con cappelluccio e pipa, come il suo autore tra l’altro, e nei mobili del tinello di chi un tempo consumava solo gialli, è una semplice filiera (75 romanzi e 28 racconti) all’interno dell’industria Simenon, la quale ha un’estensione – e ora lo sappiamo bene – tanto vasta quanto applaudita di oltre quattrocento opere.

Dopo questa divagazione, soddisfatti come Jules Maigret che sfumacchia a fine giornata, apriamo il trentaquattresimo (in ordine cronologico) roman dur, che è da poco in libreria: La fattoria del Coup-de-Vague, tradotto da Simona Mambrini per Adelphi, uscito come Le Coup-de-Vague nel 1938 e come Le zie (bel titolo) da Mondadori nel 1969. Non ci risultano riduzioni televisive o cinematografiche, di modo che non siamo disturbati dai ricordi, anche se possiamo trovare consona l’aura di due tra i primi romans durs portati sullo schermo, Les Inconnus dans la maison del 1942, regia di Henri Decoin su scénario di Henri-Georges Clouzot (quello de Le salaire de la peur!) e La Marie du port del 1949 firmato da Marcel Carné.

Senza baffi: Jean Gabin

Sono nomi ideali per La fattoria, che è uno straordinario incubo a occhi aperti vissuto da Jean, bello di paese, in carico totale a due zie, che nella ferme vicino a La Rochelle pazientemente gli costruiscono e gli distruggono la vita, non facendogliela mai vivere, quasi lui fosse imprigionato sempre un passo indietro alla coscienza. Quasi un horror in terza persona ma con un solo punto di vista (sfuocato), quello di Jean, e con noi lettori che gli gridiamo per 140 pagine di stare attento a quelle due megere.

IL LIBRO Georges Simenon, La fattoria del Coup-de-Vague, tradotto Simona Mambrini, Adelphi

(nota 1) Su Maigret e Pintér “Maigret appare in Italia, per la prima volta, nel 1932 nella collana I libri neri della Mondadori col titolo L’ombra cinese. Ma il primo Maigret disegnato in copertina si deve a Mario Tempesti. La nuova collana, I libri del pavone, si esaurisce tra il 1964 e il 1965. Le inchieste del commissario Maigret, che diventa un quattordicinale Mondadori, riprendono vita nel marzo 1966 col nr. 1 Maigret e il ladro pigro e lo straordinario impatto che offrono le copertine disegnate da Ferenc Pinter. Anche se Pinter le definisce le copertine brutte, preferendo quelle della successiva edizione, più grafiche”

Nella foto di apertura, il Maigret di Cervi (1964)

 

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