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Allonsanfàn
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Annientare. Houellebecq, l’amore, la morte, le Gauloises

Molto tempo fa, nel 1999, quando si poteva ancora fumare in luogo pubblico, seduto a un tavolo in una libreria, uno scrittore francese inanella poche frasi banali succhiando dalla cicca di una Gauloise senza filtro che tiene alta tra il medio e l’anulare della mano sinistra, la quale è l’immobile protesi dell’avambraccio, il cui gomito è appoggiato in modo da tenere l’arto perfettamente perpendicolare. È la bocca che serve la mano, perché lo scrittore francese fa quasi fatica a ciucciare dalla sigaretta, sollevando un poco il sedere dalla sedia quando, ogni dieci secondi, decide di prendere una boccata. Non ho mai visto fumare nessuno così. E così a lungo, metodicamente, senza fermarsi, come una sorta di sgraziato e ossessivo burattino.

Il burattino mediatico

Michel Houellebecq, dopo la doppietta de Le particelle elementari e del primo romanzo, subito rilanciato, Estensione del dominio della lotta, usciti entrambi in Italia per Bompiani, ha appena raggiunto gran popolarità internazionale. Anche nella tappa italiana del suo tour raccoglie salve di applausi e confessioni inaspettate. Maschi quarantenni per lo più di sinistra al firmacopie fanno la fila per dirgli, attraverso la nuvola di fumo: “Grazie, lei ha raccontato la mia vita (sottinteso: amorosa, sessuale)”. All’incontro, che si svolge in una libreria Feltrinelli, intravedo nella calca una incuriosita Fleur Jaeggy e ricordo di aver pensato che Houellebecq si presenta troppo male per diventare un autore Adelphi – ce l’avrebbe fatta, più tardi e a malapena, quel piacione di Carrère – né Einaudi, allora imbalsamata nel suo bon ton culturale sinistrorso. In Francia, per esempio, è edito Flammarion e non Gallimard.

L’Houellebecq degli esordi veste già come un clochard amico stretto di Céline e sarebbe un ometto del tutto insignificante se non trasmettesse l’energia trattenuta di chi ha appena finito di sputare in faccia al (suo) mondo e sta per ricominciare, dopo una breve pausa di faticosa cortesia. Il rito teatrale del fumo lo protegge, anzi, forse la sigaretta è il boccaglio che gli permette di respirare nel soffocante casino che gli si è fatto attorno.

Le particelle del boom

Con le Particelle Houellebecq ha fatto il botto, mescolando scienza e filosofia alla sociologia oscena del vivere spicciolo. È un perfetto abracadabra per il secolo che finisce. I due fratelli del romanzo, Michel e Bruno, segnati dal fatto d’esser nati da una madre hippy, sono gli strumenti di una critica feroce alla generazione che li ha partoriti. Per dirla in breve, in un disperante sunto che contiene il sarcasmo oggettivato di Houellebecq: “Decisamente, …quei giovani alla ricerca di nuovi valori spirituali erano proprio dei coglioni”. E non è che il presente porti riscatto. “Ovunque sulla superficie del pianeta l’umanità stanca, stremata, diffidente di sé e della propria storia, si apprestava bene o male a entrare in un nuovo millennio” mentre “nei cimiteri del mondo intero, gli umani recentemente deceduti continuarono a marcire nelle loro tombe, a trasformarsi poco a poco in scheletri”. Se poi mi sono rimaste in mente più di altre le pagine vivissime e pornografiche (in senso lato) sulle avventure sessuali nel sito naturista e scambista di Cap D’Adge è perché erano travolgenti.

Vent’anni dopo

Vent’anni dopo, anzi ventitre. Tanto è passato da quella sera e Michel Houellebecq, che a giudicare dalle fotografie non ha mai smesso di fumare, prosegue con Annientare (La Nave di Teseo, 2022) la sua radicale disamina dell’esistente, spalmando, all’apparenza in modo meno spettacolare del prevedibile, quasi con pacatezza (!), i suoi temi prediletti in 740 pagine costruite attraverso brevi capitoli.

E forse: Houellebecq alla fine del secolo scorso leggeva ancora la vita con l’abbecedario furibondo della giovinezza e prendeva per cartina da tornasole del disastro amore e sesso; ora, invece, a sessant’anni avanzati (è nato a Saint Pierre, nel 1956), usa il paradigma azzerante della morte – pur se “l’amour reste un vrai sujet” – portandosi appresso per memento mori una massima assassina di Pascal.

La morte, quando appare in tutta la sua evidenza concreta nelle ultime 140 pagine di Annientare, è la morte di un singolo, di uno come noi, è la morte di chi è costretto d’improvviso a adottare un altro sguardo sull’universo a partire dall’occhiata che rivolge all’uomo a lui vicino in metropolitana, è la morte vista da Ivan Il’ič nella novella di Tolstoj, e spazza via tutto e di più, meno il tentativo di un amore – ma vogliamo pensare, dopo averlo letto per ventitre anni che Houellebecq punti una fiche sull’amore? E, se fosse, non risulta l’elemento più volatile e letterario dell’intero romanzo?

Di sicuro, la morte si appollaia come un grande avvoltoio sul plot di Annientare, sprofondandolo nell’insignificanza, alla luce di quest’agghiacciante, si fa per dire, sorpresa: noi, io e voi, siamo tutti votati all’“annientamento”. Non lo sapevamo, forse?

Ma facciamo un passo indietro. All’inizio di Annientare. Houellebecq descrive nel romanzo la catatonia dell’anima nelle odierne costruzioni sociali, false e minacciose – siamo nella Francia di un futuro appena prossimo – che si manifesta nella frigidità e in una cautela robotica imperanti nella vita privata e in quella pubblica; ribadisce il fallimento totale del melting pot e di ogni ideale di civiltà e di integrazione tra i diversi; constata – Houellebecq finge di constatare anche quando vuole “denunciare” – l’incombenza di una impersonale e non arrestabile tecnologia, e dei complotti a essa connessi; registra la presenza e l’appeal di organizzazioni misteriose che potrebbero operare hackeraggi e attentati che sgomentino l’opinione pubblica, accanto al nascere di strampalate sette, tipo la wicca, che promettono consolazione pseudo religiosa o addirittura una rinascita della coppia.

Houellebecq fa cioè il suo lavoro con una esposizione, dicevo, quasi compassata, presentando il suo protagonista, il quasi cinquantenne Paul Raison, alla grigia corte del ministro Bruno Juge. Annientare comincia come un thriller politico: Juge è sotto scacco di un possibile attentato che coinvolge, se non lo storico jihadismo, enigmatici simboli geometrici e persino il fantasma di Bafometto (ah, Klossowski!). Il pragmatico e metodico ministro finisce virtualmente ghigliottinato in un video realizzato con effetti speciali più avanzati rispetto a quelli noti, e diffuso a diluvio sul web.

A poco a poco, il thriller lascia spazio a una storia di famiglia non appena si sposta da Parigi in provincia, nel Beaujoles, attorno al corpo di un padre menomato, ex agente dei servizi segreti francesi, finito in coma e ridotto al mutismo, nei cui pressi si muovono in diverse posture dell’infelicità i tre figli – Paul è il maggiore – , i mariti, le mogli, le infermiere. La storia di famiglia trapassa quindi nel cauto tentativo di Paul e Prudence, la misteriosa compagna dal nome beatlesiano rivitalizzata da credenze esoteriche, di ritornare ad amarsi, persino carnalmente (non si usa più), dopo lunghi anni di civile ma completa estraneità.

La fine per tutti

E così, al culmine di una notte trionfale di elezioni e ammirando un contatto umano ripristinato con la delicatezza impacciata di chi assiste a un miracolo, il lettore entra a piedi pari nell’impronunciabile “dopo”. Come se qualcosa di reale – la malattia – potesse sconvolgere una fiction per quanto essa sia reale o, almeno, iperrealista. Ci sono 140 pagine di dolore e di attesa del game over che sono la fine e il più profondo strato di Annientare e dell’arte di Houellebecq.

Forse è il momento di fermarsi un attimo prima di leggere ancora e di prendere una pausa per una sigaretta, di mettere la bocca sul boccaglio, citando Serotonina (2019): Il sollievo che mi dà la prima boccata è immediato, sorprendentemente violento. La nicotina è una droga perfetta, una droga semplice e pesante che non porta gioia, che è definita interamente dalla mancanza e dalla cessazione della mancanza…”. Ma poi bisogna continuare, siamo costretti a farlo. Leggiamo. Tenendo a mente quello che ha detto Michel Houellebecq, il burattino mediatico, il più grande scrittore di Terra di Francia a Le Monde (2 gennaio 2022, unica intervista concessa, e cara grazia, alla stampa patria): “Oui mais il y a la mort. Thomas Bernhard l’a écrit, Pascal le dit plus brillamment, quand on pense à la mort tout le reste devient dérisoire. Cela fait un peu con de dire ça. L’amour reste un vrai sujet. La mort aussi…”. Queste pagine, ricordando l’Houellebecq del 1999 fa a Milano, si leggono spegnendo la Gauloise nel portacenere.

 

Credit: Mosaïque de Michel Houellebecq by ActuaLitté is licensed under CC BY-SA 2.0 Michel Houellebecq brindó una conferencia en la Argentina by Ministerio de Cultura de la Nación is licensed under CC BY-SA 2.0

 

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