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Franco Loi. Il ritorno de L’angel

Ritorna sugli scaffali delle librerie settore poesia L’angel di Franco Loi, che è un grande romanzo fatto di canti, in quattro parti uscite nel 1981, la prima, e nel 1994, tutte insieme per Mondadori.

L’angel è una visionaria autobiografia, composta in versi milanesi – ma ne compaiono anche di genovesi, colornesi, per via materna, romaneschi – e vi ritrovo subito i luoghi, cari al poeta, del Casoretto, il quartiere popolare di Milano dove Loi, nato il 21 gennaio del 1930 e morto il 4 gennaio del 2021, cresce e nelle cui strade avviene un’improvvisa chiamata alla poesia, quello sdoppiamento del corpo e del tempo, quella sorta di episodio di veggenza che il poeta ha raccontato in Stròlegh (Einaudi, 1976).

L’angel di Loi, Loi che è l’angelo che racconta, è un fool, un matto da manicomio, un abitante di una delle tante Ville Fiorite del paese. Partendo da un’idea svanita di Paradiso, rammenta la propria infanzia e giovinezza, e risale il tempo fino agli anni Sessanta e più, fino alla lotta armata, in terrestre e insieme alata (folle?) attitudine, nella concretezza di un reale che appare però trasognato al narratore il quale si sente in qualche modo parte del sacro.

In forma più articolata e concentrata che altrove, compaiono gli elementi forti che nutrono tutta l’opera di Loi: “l’esperienza del male e del dolore, che sconvolgono il mondo” e attengono all’esperienza di vita del poeta, i ricordi appunto e le preghiere, di commovente  innocenza, e poi, quasi nell’occhio di un ciclone, “…momenti estatici della natura, …ritorni alla sensibilità della materia e dell’energia delle cose” (dalla Nota di AquabellaInterlinea 2004, una piccola raccolta che contiene tra l’altro, in abbozzo, una quinta parte de L’angel).

Il sacro e i poeti borghesi

Mi ha sempre toccato e sorpreso l’aspetto religioso di uno scrittore che dovrebbe appartenere, per opere e azioni, e in parte vi appartiene infatti, al materialismo di una sinistra ancora profondamente operaia, di classe.

Mai come ne L’angel si avverte che Loi si muove fissando il precario orizzonte tra il qui e l’aldilà, trovando tutt’altro che spaventevole, al contrario del sentire comune, l’idea di un “ritorno”. L’angelo prigioniero di Loi altri non è che lo “straniero sulla terra”, il quale ha la confusa percezione di “un dentro di noi, che non trova riscontro nella duplicità e ambiguità della terra, degli uomini, della società”. Ancora: è un angelo immemore di Dio ma mondato dall’orgoglio umano che suggerisce di negare la divinità. Il compito del poeta, allora, consiste nel mantenere vivo in sé l’angelo, ossia nel “far sviluppare la memoria dell’aldilà”: per questo nel poema il ricordo ineffabile del Paradiso si mescola e quasi si identifica con quello, tanto insistito e prezioso, dell’infanzia (ho citato da Attorno a L’angel, tra le essenziali e dettagliate note dello scrittore riprodotte dall’edizione del 1994).

Se poi io mi scopro ancora addosso qualche resistenza nei confronti dell’ispirazione e della modalità quasi sciamanica (o ardentemente popolare?) della poesia di Loi, credo sia per aver letto per lo più poeti borghesi, almeno d’aspetto, composti e severi nella postura, compresi tra le linee lombarde e i miti del primo e secondo Novecento; il resto della diffidenza lo fanno la mia superficialità o il cinismo, che della superficialità è una coniugazione, perché semplicemente da troppo tempo sono abituato a pensare alla letteratura come a un (narcisistico? virtuosistico? futile?) gioco mondano.

Comunque. Grande poeta degli umili, e insieme sofisticato e solitario, nella composizione di una lingua dell’anima – la lingua, come dicevamo, di una rivendicata veggenza – un dialetto che oggi non si parla e magari non si è mai parlato così, Franco Loi si può leggere anche a tocchi e a brandelli, a frammenti, persino a versi singoli, per avvertire la tensione del dire dell’angelo e riavvicinarsi a parole a un tempo sonore e lontane, materiche e insieme liberate alla forza di un fortissimo vento – è impossibile che non mi venga in mente, leggendo, l’Angelus Novus di Benjamin.

Una lingua, ma quale?

Il medium del milanese che io, come tanti altri concittadini, non parlo e non capisco fino a essere quasi costretto a leggere L’angel in traduzione, mi sfida, negli endecasillabi di Loi, a interpretarne di volta in volta il tono, nell’euforia come nella disperazione – è significativo che il testo originale si trovi nelle pagine a sinistra del libro, come accade per quelli in lingua straniera, lasciando alla destra la versione in italiano.

Può essere interessante notare che la matrice della lingua di Loi non è più, nemmeno in trascrizione, quella di Delio Tessa – un autore dialettale attento agli umili che Loi ammira marcando la distanza – ma un ibrido che raccoglie già in sé i risultati delle migrazioni interne e del riassetto culturale tra le classi di una nuova società: ciò è ben raccontato nella lunga intervista contenuta nel libro biografico Da bambino il cielo (Garzanti, 2010).

Ma mettiamoci in cammino. Con il poeta di L’angel così umano e così libero perché cerca di “rispondere a Dio che ci chiama” (o il contrario), ha senso fare un pezzo di strada, magari fuor di metafora, passare per uno scorcio di città, al Casurett, da via Ampère uscire in Porpora e poi verso il Corso, dopo l’Upim che non c’è più, e ritrovarsi in maniera inusuale, quali persone diverse dal nostro quotidiano e un po’ stupite da qualcosa che non ricordiamo, noi tra i saldi della nostra vita.

A margine: una scorciatoia per avvicinarsi a Loi può essere il recente libro-cd Vòltess (Vòltati, in milanese), edito a settembre 2021 da Donzelli, che documenta un incontro tra poesia e musica. I versi di Loi diventano dodici canzoni per chitarra e voce, interpretate dal poeta Umberto Fiori e dal musicista Tommaso Leddi (i due facevano parte di quello straordinario combo che furono gli Stormy Six). Vòltess ha circolato in forma di concerto a dal 1998, a volte con letture dal vivo dello stesso Loi.

I LIBRI Franco Loi, L’angel (Mondadori). Una quinta parte del poema, iniziato nel 1972, compare in Aquabella (Interlinea, 2004). Da bambino il cielo (Garzanti, 2010). Vòltess (Donzelli, 2021). Altro su Loi in Allonsanfàn, qui

Credit: Franco Loi /2 by paolobenegiamo.weebly.com is licensed under CC BY-NC-ND 2.0

 

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