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Michela Marzano. Gli italiani non hanno mai fatto i conti con il loro passato fascista

Nel suo ultimo libro Stirpe e vergogna (Rizzoli) racconta una vicenda famigliare. La scoperta di un nonno fascista di cui nessuno le aveva mai parlato e il dolore e il tormento di una disperata ricerca della verità. Ma parla anche di un Paese (e a un Paese) che fatica a fare i conti con un passato che continua a voler rimuovere, dimenticare.

Michela Marzano, filosofa e docente di Filosofia morale all’Università Paris V – René Descartes, tiene al FestivalFilosofia di Modena una lezione che si intitola Memoria, riappropriarsi del vissuto, fare i conti col passato. «Non serve far finta che nulla sia successo e dimenticare, perché tutto torna» spiega a una piazza affollatissima, sette giorni prima del voto che si è tenuto domenica 25 settembre. E alterna la sua storia privata a quella di un’Italia che, una volta di più con le ultime elezioni politiche, ha dimostrato di avere imparato ben poco dal suo passato.

«Quando ho scoperto che il nome di mio padre non era solo Ferruccio, ma Ferruccio Michele Arturo Vittorio Benito, ho cercato di capire perché di quel suo quinto nome. Ho consultato gli Archivi di Stato, ho frugato tra le carte di famiglia, alla fine mi sono dovuta arrendere all’evidenza: mio nonno Arturo era stato un fascista della prima ora. In casa mia mi avevano detto che, diventato magistrato, aveva giurato fedeltà al Re, restandogli fedele fino alla fine della sua vita, anche quando era stato eletto deputato della Repubblica. Mai e poi mai, però, si era evocata la sua fedeltà a Mussolini».

Marzano è cresciuta con un padre che ha completamente rimosso l’adesione del proprio padre al fascismo. «Ma che mi ha insegnato che il fascismo era il male assoluto e mi ha trasmesso i valori belli della sinistra». Valori che la sinistra «forse ha dimenticato strada facendo. Perché smettiamo di raccontarci balle. Tra una settimana sarà l’estrema destra a vincere. E vincerà proprio perché il nostro Paese i conti con il suo passato non li ha fatti». Un Paese, l’Italia, che vive una sorta di amnesia, «un rimosso e un oblio che, ancora oggi, portano molti altri a credere che gli italiani, in fondo, siano sempre stati “brava gente”».

Negli anni Germania e Francia «lentamente, in maniera diversa, più o meno dolorosa, i conti con il proprio passato hanno cominciato a riaprirli. Riconoscendo le proprie responsabilità. In Germania più di 35 anni fa l’allora presidente tedesco Richard von Weizsäcker costrinse i propri connazionali a guardare in faccia l’orrore della Shoah: “Noi tedeschi” disse al Parlamento e alla popolazione tutta “dobbiamo piangere e ricordare nel lutto milioni di morti ebrei, sinti, rom e omosessuali e dobbiamo assumercene la responsabilità».

L’Italia invece «non ha avuto il coraggio di riattraversare il Ventennio».

«Certo si leggevano e si leggono le opere di Primo Levi, il diario di Anna Frank, si parlava e si parla della Shoah e degli orrori del nazismo ma ancora c’è gente che sostiene che Mussolini ha fatto anche cose buone. E non parlo di decenni fa. Sto parlando di Antonio Tajani che, presidente del Parlamento Europeo, lo sostenne in un’intervista. Sto parlando di un famoso giornalista – no, il nome non lo faccio – che pubblica prima di ogni Natale un libro che diventa il best seller da regalare. L’ultimo riguardava il fascismo. Lui – intervistato sulle leggi razziali – disse: “Non so come mai si giunse a quelle leggi, fu un errore degli ultimi anni”».

Ma le leggi razziali, ricorda Marzano, «furono la diretta conseguenza di un’ideologia che si fondava sulla volontà di dominio, l’esaltazione della violenza, l’autoritarismo e la supremazia razziale». Come ha ribadito il presidente Mattarella nel 2018 commemorando il Giorno della Memoria.

«Mattarella ha sottolineato come le distanze dall’antisemitismo nazista, di fatto, non vennero mai prese. Il nostro Presidente ha evocato lo sterminio dii milioni di ebrei, omosessuali, sinti e rom e ha riconosciuto che il razzismo e la guerra non furono semplici errori o deviazioni rispetto al modo di pensare del fascismo, ma la diretta e inevitabile conseguenza di ciò che era stato il regime: “Gli ebrei in Italia erano condannati alla segregazione, all’isolamento, all’oblio civile. In molti casi, tutto questo rappresentò la premessa dell’eliminazione fisica”».

Resta la domanda: quante sono le famiglie italiane che hanno davvero fatto i conti con il fascismo?

La risposta alla piazza di Modena (ribadita anche in un intervento sul quotidiano La Stampa) è precisa.

«Quando un trauma non viene rielaborato, si resta impantanati nel passato. Difficile spiegare altrimenti i tanti rigurgiti fascisti che, ancora oggi, caratterizzano il nostro Paese. Difficile, soprattutto, capire davvero le radici della xenofobia, dell’omofobia e del sessismo che impediscono all’Italia di essere un Paese inclusivo, egalitario e solidale. Se non si decide di fare i conti con la propria storia, la si tramanda di generazione in generazione. Quando ci si illude di averlo rimosso, il passato riaffiora, spingendoci talvolta a ripetere gli stessi errori. Sebbene quei conti con la memoria, prima o poi, ci sarà qualcuno che dovrà farli».

credit foto in apertura: Serena Campanini

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