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25 aprile. Gli attacchi alla libertà di oggi e una Resistenza sempre viva

Il 25 aprile non è una cerimonia, non è un evento celebrativo, ma molto di più. È un significativo momento di verità storica, di partecipazione, di attualità costituzionale.

In molti, nelle varie piazze d’Italia, giovani e meno giovani, ma tutti convinti come sia necessario ricordare i tratti, anche duri e drammatici e poi felici, che hanno motivato la nostra Costituzione e l’attuale convivenza di cittadini.

Un grande grazie agli antifascisti e partigiani-patrioti che hanno lottato per una nuova fase di libertà, dopo decenni e decenni di violenza e di silenzio democratico.

Sono migliaia le piazze, le vie, i giardini, i monumenti in tutta Italia dedicati alla Resistenza, alle formazioni partigiane, alle vittime civili del regime fascista. La nostra gente ha vissuto quel periodo storico e ne ha voluto mantenere per sempre traccia.

25 aprile Resistenza
Documento “Certificato al Patriota” rilasciato a Felice Marino, partigiano della II Divisione Langhe, dal Maresciallo generale Harold Rupert Alexander, comandante supremo alleato delle forze nel Mediterraneo centrale. Il documento è controfirmato da Piero Balbo Poli (protagonista in Partigiano Johnny). È attinto dal libro Beppe Fenoglio. Il riscatto della libertà. Storia e pensiero di un antifascista assoluto di Sergio Favretto (Falsopiano, 2023). Dimostra il sincretismo e l’univocità fra i termini partigiano e patriota.

L’unica e autentica memoria storica

La storia non è mai fatta a tavolino, né si può riscrivere a tavolino con filtri e deviazioni. La storia è intessuta da persone, da eventi, da circostanze, da decisioni, da coraggio, da violenze e scaltrezza, da tensione ideale o da volontà distruttiva, ovvero innovatrice.

La storia resistenziale è un dato certo, inconfondibile, non inquinabile. La scelta partigiana-patriota fu necessaria e non più dilazionabile. La gente non poteva sopportare oltre le ingiustizie sociali dei decenni fascisti, la mancanza delle più elementari libertà di movimento e di associazione, perché tutto era obbligato e condizionato dal fascio e dalle milizie, la mancanza della libertà di espressione e di stampa. Il ventennio fascista aveva creato una classe dirigente di notabili, di privilegiati, di aggressivi e violenti, non rispettosi delle autonomie di pensiero e di aggregazione sociale. Iniziando dalle classi più deboli e indifese, il fascismo catturò il consenso con fantasiose promesse e traguardi di successo della Nazione e dell’orgoglio italico. Poi il fascismo riuscì a connettersi con ceti forti economicamente, costruì una crescente pseudocultura ispirata e una propaganda permanente fatta di immagini, rituali, tesseramenti, messaggi, comportamenti omologanti e reti di protezione. Poi il salto nella non politica, ma nel regime e nel potere dei più forti, per giungere a imbavagliare gli intellettuali più aperti e liberi che dovettero abbandonare l’Italia per l’America e la Svizzera.

Alla domanda come nacque il fascismo, Bertrand Russel rispose: “First, they fascinate the fools. Then they muzzle the intelligent…”. Inizialmente affascinarono gli stupidi, poi misero la museruola agli intelligenti…”.

Contro i fascisti egemoni, invece, vi era una popolazione debole culturalmente e socialmente, non organizzata, priva di riferimenti alti o nazionali; una popolazione genuina e solidale, ma bloccata e impedita. La guerra accentuò oltre limite il divario fra violenza, arroganza e potere da un lato e gente inerme e priva di libertà.

Se osserviamo e ricordiamo come si visse in varie città d’Italia la marcia su Roma dell’ottobre ’22, si può cogliere immediatamente di quali ingredienti violenti era intrisa l’esperienza fascista. Leggiamo i resoconti sui pochi giornali del regime nascente, le poche immagini del quadrumvirato e ci rendiamo conto dell’aggressività delle truppe in marcia. Un esempio. Scorrendo le pagine del settimanale Il Monferrato del 28 ottobre e del 3 novembre, troviamo tutti gli ingredienti dell’organizzazione e dell’approccio dominante: camicie nere che occupano uffici e servizi pubblici, attività di falangi fasciste, richiami alla forza virile e autorità di Passerone, le coorti fasciste in pieno assetto di guerra, le squadre avanguardiste balilla e femminili, nuclei numerosi di triari.

Il settimanale La Scolta pubblica ampi resoconti e l’appello e il saluto del console Giovanni Passerone con frasi certamente allarmanti: “La travolgente marcia del Fascismo… Dico con Mussolini che chi infanga il fascismo, infanga i nostri morti; per questo vi giuro che se anche dovessi uccidere saprei di compiere un dovere…”.

Di altro segno, di altra partecipazione sono connotate le varie giornate di Liberazione a Genova, Torino, Milano e in tutto il Nord Italia. Popolazione, partigiani, militari, studenti, famiglie. Entusiasmo e voglia di avviare una nuova fase. Molti dettagli attinti ai diari storici delle formazioni partigiane, agli appunti e relazioni manoscritte, alle memorie e testimonianze, ci confermano lo iato enorme fra il ventennio fascista, la guerra e i miti coloniali ed invece la sete di partecipazione e di democrazia vera.

25 aprile Resistenza
Attestato rilasciato dal Comando Divisione Italia del CVL alla partigiana e staffetta Ernestina Valterza, giovane insegnante che fece la spola fra le formazioni partigiane e le missioni alleate fra il Monferrato e il Biellese. Esplicita l’attività di patriota e partigiana. Immagine attinta da Resistenza e nuova coscienza civile di Sergio Favretto (Falsopiano, 2009).

Partigiani perché patrioti

L’antifascismo e la Resistenza crebbero e si consolidarono a costi molto alti, lottando in modo impari con un avversario agguerrito e assoluto. Non fu mai una partita con regole pari, ma una salita durissima fatta di coraggio e morte, di ideali e azione, di tenacia e progressivo coinvolgimento.

Nel biennio ‘43-’45 non vi fu solo una guerra civile, ma come correttamente analizza e interpreta lo storico Claudio Pavone nel suo saggio sulla moralità della Resistenza, vi furono tre guerre: una guerra patriottica di liberazione dall’esercito tedesco invasore; una guerra civile contro la dittatura fascista; una guerra di classe per emancipazione sociale. Questo è il paradigma esatto per comprendere la portata radicalmente rivoluzionaria e distintiva della nostra Resistenza.

L’età media dei partigiani-patrioti del Monferrato fu di 21 anni, con la presenza di giovani di 18 e 19 anni. Nelle varie formazioni si unirono socialisti, comunisti, liberali, azionisti, laici indistinti; si unirono agricoltori, operai, commercianti, studenti, cattolici e clero, ex militari e carabinieri, alpini, ebrei.

I partigiani erano giovani e coraggiosi, convinti da ideali; i fascisti della RSI erano invece degli arrivati al potere, dei privilegiati e deboli al tempo stesso, bisognosi di simboli e sovrastrutture della Milizia o della nostalgia per celare la inesorabile fine corsa. I fascisti non esprimevano il futuro. La Resistenza fu animata da giovani e dalle famiglie.

Dobbiamo usare o unire sempre concettualmente il termine partigiano-patriota perché così si denominavano i partigiani nelle varie bande o gruppi, così si qualificavano nei messaggi e report, nelle lettere e nelle disposizioni dei comandi; così venivano rappresentati nelle relazioni stese dagli Alleati o dai servizi segreti del SOE e dell’OSS; perché così sempre vennero indicati anche dai fonogrammi tedeschi o fascisti. Il termine patriota lo si trova nei vari tesserini e lasciapassare del CLN o del CNLAI, nelle schede di riconoscimento dell’attività e meriti partigiani. Solo i partigiani erano i patrioti, i fascisti erano la negazione della Patria e della società italiana. Ancor oggi il periodico ufficiale dell’ANPI si intitola Patria.

25 aprile Resistenza
Tesserino di partigiano di Gherardo Guaschino, ex tenente dell’esercito, sopravvissuto alla campagna di Russia, fondatore di una prima formazione partigiana nel Monferrato. Aderente alla Divisione Patria, il documento evidenzia il termine patriota. Guaschino venne per mesi ricercato dai fascisti che catturarono papà e zio per convincerlo a abbandonare la Resistenza. Non ebbe esitazione, fino alla Liberazione. Documento tratto da Resistenza e nuova coscienza civile di Sergio Favretto (Falsopiano, 2009).

Riscatto sociale con la libertà

Vi è un’analisi storica conducibile in parallelo che bene ci aiuta a capire quale grande fenomeno fu la nostra Resistenza e perché in Europa abbia ancor oggi grande stima e apprezzamento.

L’analisi verte il binomio inscindibile fra libertà e giustizia sociale.

La libertà non è un concetto astratto o un pio desiderio, ma è un diritto che innerva l’individuo e la società che più individui realizzano.

La Resistenza ha voluto e combattuto per la libertà, condizione singola e collettiva che il fascismo, prima a tentativi e poi a sistema, ha violato e negato. Durante il ventennio la libertà non esisteva, ma tutto era programmato e imposto, tutto era sorvegliato speciale, tutto era indotto da miraggi espansionistici, autarchici e poi bellici. La cultura era referenziale ed edonistica per privilegiati; ancora la cultura era educativa a senso unico, nelle scuole e nei licei anche la letteratura antica era piegata alle finalità del regime, al miraggio del colonialismo e dell’impero. Il lavoro e l’economia erano dominio dei poteri e degli assetti del fascio corporativo; il mondo dell’agricoltura e della terra come palestra di indottrinamento; l’assistenza e la sanità erano espressione di populismo e insufficienti alla reale domanda della gente; il muoversi sul territorio era sempre condizionato, fu poi impedito con l’occupazione tedesca e la collegata presenza della RSI. Il regime era propaganda integrale, operava forme di illusionismo diffuso; la giustizia era un appannaggio per i forti. Ecco, è questa la serie di mancate libertà, dei fabbisogni di giustizia sociale.

La sete di libertà nasce dal singolo e poi deve permeare l’intera società. Ed ancora, la libertà non deve essere imposta o regalata, ma raggiunta e resa viva perché conquistata e tradotta in azione quotidiana.

Tre pensieri emblematici.

Luigi Einaudi, quale esule in Svizzera, salutando il figlio Giulio partente per la Resistenza in Italia, così si espresse: Nessuno sa quale sia la verità vera; sappiamo solo che essa non è quella che è comandata. Qualunque sia in avvenire la costituzione della nostra società, procura coll’opera tua d’oggi di preservare, nella lettera e nello spirito, nelle idee ispiratrici e nelle convinzioni giuridiche ed economiche dell’attuazione di queste idee, il bene supremo della libertà di negare la verità ufficiale”.

Più recentemente, ad Alba nel 2022, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ricordando lo scrittore e partigiano Beppe Fenoglio, ha detto: “L’epopea della Resistenza, vissuta e narrata da Fenoglio, è parte costitutiva della vostra identità, del vostro essere italiani, e l’avete recata alla Repubblica. Alba fu zona “libera”. Anello di quelle repubbliche partigiane che hanno segnato la volontà di riscatto del popolo italiano”.

Pietro Chiodi, ricordando Fenoglio: “Questo è il Beppe ‘Johnny’ come lo ricordo… Non partigiano, ma ribelle, ribelle a tutto ciò che gli appariva illogico, ingiusto, immorale, illegittimo, conformista o pericolosamente e presuntuosamente dilettantistico. Combattente per la libertà nel senso più limpido della parola, pronto a stare con tutti o contro tutti, pur di battersi contro il sopruso”.

Chiarissima l’endiadi fra libertà e giustizia sociale ieri e ancora oggi. Non c’è vera libertà se non vi è autonomia dai bisogni sociali, se l’uomo necessita di tutto, se la società è sperequata e discriminatoria. La nostra Costituzione è sulla carta il prodotto migliore in risposta alle attese resistenziali, ma nella realtà non assicura gli obiettivi assunti alla sua approvazione se non attraverso una vigilanza e battaglie continue.

25 aprile Resistenza
Lettera manoscritta da Renato Morandi, partigiano della Banda Lenti, giovane di 18 anni, ucciso con altri 26 partigiani a Valenza nel settembre 1944. Immagine da Resistenza e nuova coscienza civile di Sergio Favretto (Falsopiano, 2009).

 Gli attacchi alla libertà di oggi

Viviamo in un tempo delicatissimo e incerto, in una società aperta e articolata, con mille rischi e opportunità. La conquista di ieri non è certezza oggi, talvolta è posta in crisi.

La libertà, obiettivo dei nostri resistenti, subisce nuovi attacchi.

La Resistenza vide il generoso contributo di siciliani, calabresi, sardi che raggiunsero il nord e combatterono i tedeschi con i partigiani, anche fra le nostre colline. Alla Resistenza si unirono gli Alleati con agenti delle missioni inglesi del SOE o americani dell’OSS. Tutti lottarono per la libertà.

In Italia, oggi, invece, proibiamo e vincoliamo la libertà agli immigrati, agli stranieri che da anni vivono in Italia, discriminando negli accessi nelle scuole. Bambini cinesi, musulmani, italiani che per anni nella società e nelle scuole dell’infanzia vivono in perfetta sintonia, vengono poi discriminati alla scuola primaria. Freniamo e dubitiamo dell’attività delle ONG che salvano vite in mare o risolvono emergenze medico-sanitarie in varie parti d’Italia e del mondo. È un attacco alla libertà, come lo è pure il sostenere e agevolare con la pubblicità ossessiva e persuadente comportamenti selettivi o privilegi.

Il più pesante attacco alla libertà è certamente la guerra, il sostenere la guerra. Le guerre, anche se scoppiate altrove, creano vincoli e blocchi alla libertà di tutti perché congelano lo sviluppo e il progresso civile e sociale di uno Stato e del contesto degli Stati.

Ancora sono attacchi alla libertà le misure protezionistiche e antistoriche assunte in economia, misure che ledono la libertà del mercato aperto e competitivo. È attacco alla libertà, il tollerare e causare scientemente l’arretratezza del sistema sanitario, le sue disfunzioni, quando colpiscono i deboli, gli anziani, tutti coloro che per reddito non hanno la possibilità di pagarsi le visite e gli interventi.

È attacco alla libertà la ripetuta e grave demolizione di protagonisti e simboli della cultura italiana, nel tentativo di sostituirli con surrogati culturali. Sono attacco alla libertà i ripetuti interventi e analisi per riscrivere in modo errato e tendenzioso capitoli della nostra storia, anche e soprattutto quella dell’antifascismo. È attacco alla libertà il ricorrere alle querele facili e temerarie, alle slapp nei confronti di intellettuali e giornalisti, solo per demolire la rilevanza culturale e fare strumentale consenso. La storia è unica, non è riscrivibile a scelta. La ricerca storica è fatta di rigore scientifico, di impegno, di metodo, di studio per anni, di capacità critica e di obiettività ricostruttiva.

Sono questi i rischi alla libertà di oggi. Ricordare la Resistenza, i valori costituzionali della libertà, della cultura alta e vera, della salute, del lavoro, della dignità umana, della stampa e dell’informazione, della crescita sociale per tutti: è questo l’impegno di oggi. La partecipazione di molti italiani è pacifica, allegra, solidale fra tutti, spontanea. Ben diversa dal silenzio, dall’assetto paramilitare e ombroso con organizzati saluti romani di altre manifestazioni avvenute negli scorsi mesi a Varese, ad Acca Larenzia. Ricordiamo un momento felice, la Liberazione per l’Italia e per tutti gli italiani.

Il Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi, a Parigi durante la Conferenza di Pace il 10 agosto 1946, sostenne con forza: “Ho il dovere innanzi alla coscienza del mio Paese e per difendere la vitalità del mio popolo di parlare come italiano; ma sento la responsabilità e il diritto di parlare anche come democratico antifascista, come rappresentante della nuova Repubblica che, armonizzando in sé le aspirazioni umanitarie di Giuseppe Mazzini, le concezioni universaliste del cristianesimo e le speranze internazionaliste dei lavoratori, è tutta rivolta verso quella pace duratura e ricostruttiva che voi cercate e verso quella cooperazione fra i popoli che avete il compito di stabilire”.

Tina Anselmi, partigiana e prima donna ministro della Repubblica, in una intervista resa a Castelfranco Veneto nel 2006, disse: “La nostra Costituzione non è solo una carta e un documento da leggere, ma una serie di obiettivi da raggiungere. I partigiani lottarono perché la vita e la libertà che erano allora negate da tedeschi e fascisti, venissero difese e esaltate dalla democrazia”.

Ecco perché il 25 aprile è memoria storica, è conferma dei valori e principi costituzionali, è partecipazione di tutti.

Credit foto in apertura: Tricolore” by SignorDeFazio is licensed under CC BY-ND 2.0.

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