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Allonsanfàn
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Scienza e scrittura. Il mondo dei quanti e quanti mondi spiegati da Labatut

Tutti noi abbiamo o abbiamo avuto uno zio molto colto che conosce a memoria intere cantiche del Paradiso ma, di fronte alla teoria della Relatività di Einstein, allarga le braccia e con un sorriso snob afferma: “Mai capìta. E che sarà mai?”.

La prendiamo alla lontana per dire: ci sono forse due saperi, separati, o uno solo? Oppure: nel caso anche voi siate deboli nelle materie scientifiche, e non abbiate già fatto indigestione della fisica in sandali francescani di Carlo Rovelli, esiste una buona possibilità di rifarvi, ficcando il naso in Quando abbiamo smesso di capire il mondo di Benjamin Labatut (Adelphi), singolare esempio di letterato ed erudito.

Va da sé che Adelphi batta, dopo i best seller del fisico italiano, la Via dei Quanti e di tutto quello che loro assomiglia – per le visualizzazioni in generale dell’atomo, chiedere direttamente a Heisenberg. In questo filone sofisticato in bilico tra scrittura e tavola degli elementi, si inserisce a modo proprio tanto il memoir di riflessione tecnologica di Anna Wiener (Valle oscura) – ma gli algoritmi preoccupano pure gli ultimi assoli di Roberto Calasso – quanto la raccolta di racconti ibridi di Labatut.

Un occhio a Wiki perché l’aletta editoriale non aiuta: il nostro è un olandese-cileno, paragonato per i suoi mix di realtà e fantasia (almeno nella Wiki in spagnolo) a Leonardo Sciascia. Boh. Più facile dire che assomigli a una via di mezzo (cioè a un altro mix) tra W. G. Sebald e l’Harari esperto di ogni cosa del mondo dai primordi a chissà quando o ad altri preziosi cacciatori di arcane coincidenze come Enrique Vila-Matas.

La lettura è in ogni modo piacevole e istruttiva e inanella tra i pezzi più coinvolgenti un intreccio su destini umani e veleni (Zyklon B compreso), partendo dagli alchimisti e finendo con i premi Nobel (ma erano più pericolosi i primi oppure i secondi?): questo Blu di Prussia raccoglie le venti pagine più belle del volumetto e da solo, per voi o per lo zio ignorante di cui sopra, vale le 18 euro del prezzo di copertina.

Altri scritti rimarchevoli. Quello che ricostruisce l’incontro a sorpresa tra Albert Einstein e lo sconosciuto Karl Schwarzschild che gli spedisce dal fronte geniali equazioni, con relativa profezia – sempre di Schwarzschild in punto di morte – sull’ascesa del nazismo. Oppure il racconto del titolo (italiano) sulla nascita della fisica quantistica e il travaglio di Heisenberg a Helgoland – nome non nuovo per i rovelliani, se non per lo zio del nostro incipit. E per finire in levare, c’è l’incontro notturno dello scrittore con un giardiniere che spiega il titolo originale del libro, Un verdor terrible, e conferma un pericolo in più, serpeggiante in tutta la raccolta, e che non avevamo preventivato: una minaccia verde.

Facile piccola profezia. Chiuso il volumetto, delizioso e terribile, curioso ma non epocale, lo zio umanista lo riporrà accanto ai Rovelli appena stropicciati e tornerà a occuparsi, per quanto riguarda i numeri, al massimo della cinquina per lo Strega.

IL LIBRO Benjamín Labatut, Quando abbiamo smesso di capire il mondo, traduzione di Lisa Topi (Adelphi)

Nella foto, Werner Karl Heisenberg alla lavagna

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