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Allonsanfàn
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I manoscritti dei morti viventi. Mariotti scrive il più bel romanzo horror

Il sogno è quello di trovare il libro dei libri tra cataste di manoscritti – ognuno inviato da un aspirante scrittore, che di solito s’immagina di averlo scritto lui, questo libro dei libri, e mal accetterà un no per risposta o, come da prassi, la bocciatura del silenzio.

Ma eccoci sul luogo dei misfatti, nella caotica periferia della metropoli, in quel che pare un “pio opificio” delle lettere: nella grande casa editrice sotto le cui volte palladiane, negli open space alienanti popolati da redattori attaccati al computer, lavora piena di sogni anch’ella – sogni accuditivi, però – una ragazza onesta e sensibile. Fresca di laurea in lettere con tesi sulle Collane nella letteratura del Secondo Novecento – che baggianata!, vien da dire una volta visto che cosa le accade nel mondo del lavoro – è stata infatti assunta come editor della narrativa italiana.

Una sera, ultima impiegata a recuperare l’auto nei parcheggi del palazzo, dopo essere transitata tra le porte di Guglia Sud e Guglia Nord, crede di scorgere un uomo che forse la spia, forse l’aspetta, forse addirittura la bracca, e appare e scompare neanche fosse un fantasma.

Insieme alla nostra eroina, entriamo in una vicenda tanto nera, per quanto amabilmente ironica o amabilmente spietata, da diventare horror. E pur in un romanzo cui una volta avremmo apposto il fatidico prefisso “meta” – poiché riflette su se stesso nel suo farsi e fa riflettere noi – siamo agli antipodi di tanti noiosi e ideologici meta-testi del tempo che fu: I manoscritti dei morti viventi di Giovanni Mariotti si scioglie e risolve in una trama vivissima, scoppiettante di invenzioni, appartenenti, come si addice alla vena migliore di un mago buono della letteratura – Mariotti è un mago buono, ma prima di tutto è un mago –, a ogni genere di scrittura esistente sotto il sole e sotto la luna.

Essendo noi tutti in “provvisoria permanenza in vita” non ci stupiremo troppo di trovare tra le pagine, pronto all’assedio della casa editrice, un manipolo di Zombi, i meno tranquilli dei trapassati insieme ai più riflessivi Spettri, e lesti a rivelarsi per quello che sono: revenants violenti a cui è stata negata un dì la pubblicazione. In mezzo alla contesa, è comparso intanto un libro dalle straordinarie qualità, tale che tutti, aprendolo, credono contenga la loro storia…

Stop. Il romanzo di Mariotti è un romanzo vero, da leggere come un suspenser, e contiene, armonizzato nella scrittura, di tutto; ci fosse un’aletta in stile bugiardino con gli ingredienti, vi scopriremmo alte dosi di ghost novel e di romanzo del mistero, fanta frammenti sociologici e schegge di memoir (vedremo dopo perché) più vitamine varie di puro racconto per ogni età – ma sì, ci si trovano dentro, a cercare, anche Borges, anche Cortázar, che ne era il contrario, e persino un po’ di Zafón, lì accanto a, che ne so, Poe e James. Di tutto: proprio come nel famigerato libro di cui si discorreva sopra, il Libro di Ignoto.

Alla maniera del Libro di Ignoto, I manoscritti parlano davvero di noi – come da abbacinante citazione proustiana sul lettore che è lettore di se stesso (pag. 108) -, I manoscritti narrano delle nostre vite immerse nella spugnosa fatticità delle cose, e dell’impossibile fuga dalla “asfissiante costruzione ideologica” chiamata “realtà”. Una via forse c’è, anche se rovinosa, e Mariotti la svela nel finale, dopo averla preparata nel bellissimo “racconto del Passeggero”, raccolto dalla sua editor, abbandonando un timbro solo in apparenza giocoso e aprendoci barthesianamente la vista su un immaginario lontano dalle stereotipie di qualunque potere.

Grande, saggio, generoso Mariotti. Che dedica il libro, anzi il Libro, a un autentico fantasma fatto di carne viva, il suo vecchio compagno di banco al Liceo Classico Niccolò Machiavelli di Lucca, Fabrizio Puccinelli, scrittore dalla vita più che travagliata, fulminata dalla follia. Puccinelli è già stato protagonista di un “romanzo” a due voci di Mariotti, Gabbie (Marsilio 2006), testo maledetto/benedetto, e oggi (forse) ritorna a fianco dell’amico in un vertiginoso e commovente gioco del rovescio, riprendendo un tema essenziale (in senso etimologico) di Mariotti, quello del “voler essere nulla” – chi vuol leggere di più può cercare, oltre a Gabbie, i racconti brevi di Piccoli addi (Adelphi 2021).


Mi resta da aggiungere che il titolo di questo post è ricalcato sul giudizio di Pietro Citati, che definì Storia di Matilde (Adelphi 2003) di Mariotti “il più bel romanzo italiano del tardo Novecento”, e che un significativo accenno a quel famoso libro senza punteggiatura si trova a pag. 100 de I manoscritti

Il libro Giovanni Mariotti, I manoscritti dei morti viventi (La Nave di Teseo, collana I Delfini). Di Giovanni Mariotti abbiamo già parlato qui e qui

Credit: Alessandro Bagno CC BY-SA 4.0

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