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Allonsanfàn
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Céline, un anno di Guerra

L’anno scorso si è potuto leggere in traduzione l’inedito Guerra di Louis-Ferdinand Céline, risalente (sembra) al 1934 (Gallimard in Francia, Adelphi da noi). Lo scrittore più divisivo del Novecento si è ripresentato con un romanzo nato dalla sua biografia e dalla testa forse ferita (anche metaforicamente) in una Grande guerra che gli è rimasta impressa addosso, scolpita nel corpo.

Incredibile e inatteso recupero, Guerra è la tessera mancante di un puzzle – insieme a un secondo inedito, Londres, uscito oltralpe nell’ottobre 2022, forma la seconda parte di un trittico che fu poi preceduto da Morte a credito (1936) – e viene a incastrarsi tra le altre opere del dottor Destouches aprendoci le corsie di un ospedale militare, forzato approdo dopo il sangue versato in battaglia nei pressi di Ypres.

Ha vólto Guerre in Guerra Ottavio Fatica che a ragione ha da poco firmato un adelphino, Lost in Translation, sul suo mestiere di auscultatore di testi stranieri, irto di difficoltà interpretative e quindi foriero di interminabili discussioni soprattutto in casi come questo.

Guerra ha il relativo difetto di essere una prima stesura dove la prosa esplosiva o già esplosa dell’irriducibile e fanfaronesco (scusate la banalità degli aggettivi) mister Céline – prosa che godeva solitamente di varie messe a punto – si presenta nell’affanno e nell’ispirazione di una rapida scrittura a mano, quasi fosse vergata da uno zombi che si erge tra i soldati trucidati di una grandguignolesca carneficina, oppure, per dirla altrimenti, la musica di Guerra è improvvisata da un solista jazz che dispone di un solo take in studio di registrazione.

Ne conseguono alcuni punti oscuri, parole saltate, pagine finite fuori posto, e personaggi che mutano di nome da un capitolo all’altro – e alcuni di loro li abbiamo già conosciuti con nomi uguali o diversi in altre pagine già edite, come accade per il magnaccia Cascade.

Ma non è questo un difetto di cui lamentarsi – anzi è un intoppo insignificante per chi legge, semmai avvertito in nota, e comunque conquistato da un romanzo a modo suo ossessivamente e visionariamente (scusate la banalità degli avverbi) compiuto, anzi resuscitato come il suo protagonista Ferdinand (Bardamu), per miracolo graziato seppure stonato dal botto del mortaio.

Se in un take one aumentano per ammissione stessa di Fatica la possibilità di sviste e capitomboli, il vero problema è da sempre la resa in italiano del lessico e della sintassi di Céline – che ha prodotto pure querelle da social network, persino su un “bien” ritmico, calato tra due punti fissi, che cade qua e là, e viene svolto in italiano in un “vabbè”, con “è” di accento grave, peraltro giustificato dall’uso per Treccani.

Destouches corazziere nel 1914

Cominciando così si può discutere su tutto: per esempio, passare dalla “sega” di cui beneficia (?) Ferdinand, per mano autorevole di “la L’Espinasse”, perversa infermiera attratta dai “bischeri” di cadavere, a tutta la terminologia che attiene al crudelmente deperibile luogo della corporeità in cui, fin dall’apertura del romanzo, siamo in tutta volgarità precipitati (il luogo della “carnazza”). Queste scelte di traduzione, per così dire pluriregionali, lontane dall’essere mimetiche di un reale parlato popolare e non piuttosto un esercizio letterario, riecheggiano il bric-à-brac della versione francese, datato e sgasato se non solo caricaturale e spassoso (aggettivo ben speso da Fatica nella nota finale). In ogni modo: ricordiamo, riguardo la sistemazione di un’opera omnia tornata inaspettatamente in fieri, e infatti in via di riordino ne La Pléiade, che il Céline italiano di Morte a credito usa tutt’ora, e dal lontanissimo anno 1964, i dialettismi di Giorgio Caproni…

Non fosse chiaro, in mezzo alle in fondo oziose questioni linguistiche e agli scoppi di ilare e delirante disperazione del romanzo ritrovato: Guerre-Guerra è una sorta di rude capolavoro che si legge, come quasi tutto Céline, in un fiato e ti lascia lì – o questo almeno succede a me, italiano, in un 2023 dove si è manifestato presso il nuovo establishment politico il ridicolo appeal di un fascismo fantasy – Céline ti lascia lì, dicevo, tra contagiosi sussulti d’anarchia e rabbiosi pensieri neri, mentre provi sterminata ammirazione per quest’ometto un po’ disgustoso che da scrittore, maledetto e spavaldo, sa incarnare e raccontare l’orrore.

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